30 anni dopo la caduta del Muro

La portata di un evento storico che ha avuto ricadute sull’Europa e sul mondo

Trent’anni fa, la sera del 9 novembre 1989, il confine tra Berlino Est e Berlino Ovest veniva aperto, cadeva il Muro (eretto nel 1961 a causa del continuo flusso di tedeschi della Germania Est verso la zona occupata dagli occidentali a Berlino Ovest), uno dei simboli della guerra fredda, a palesare la distensione in atto tra gli Stati Uniti d’America e l’Unione Sovietica. Sebbene Mikhail Gorbachev avesse avviato delle riforme importanti, la presenza sovietica a Berlino non era allora in discussione. Tutto accadde intorno alle 23:30, quando due sentinelle alla barriera di Bornholmer, Helmut Stöss e Lutz Wasnick, agendo dietro ordine di Harald Jäger, un ufficiale della Stasi (il temuto ministero per la Sicurezza della Repubblica democratica tedesca), iniziarono ad alzare la sbarra, ma non fecero a tempo che centinaia di berlinesi dell’Est la spinsero e corsero verso Berlino Ovest. In quel momento nessuno capiva cosa stesse avvenendo, neppure le cancellerie al di qua e al di là dell’Atlantico.

Stava finendo la guerra fredda. Nessuno poteva fermare la storia. Con l’unificazione tedesca nel 1990 (che fu piuttosto un’incorporazione della Germania Est in quella dell’Ovest), il Paese visse il peggiore periodo di recessione economica dalla Seconda guerra mondiale, a causa di un insieme di fattori. Gli ingenti costi della riunificazione, la sopravvalutazione della moneta tedesca (il marco), l’aggressiva competizione delle economie asiatiche, un sistema economico rigido, l’esternalizzazione della produzione verso i Paesi dell’Est, dove i salari erano più bassi, comportarono la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro. La Germania rispose con una combinazione di flessibilità sui salari e sull’orario di lavoro a favore di una maggiore sicurezza.

Le riforme per lo sviluppo

All’inizio degli anni 2000 si aggiunsero le riforme dell’allora cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder, che ridusse i benefici legati alla disoccupazione e liberalizzò il lavoro temporaneo, creando i famosi mini-job, spesso svolti da studenti, pensionati e quanti arrotondavano lo stipendio. La locomotiva tedesca iniziò a correre, raggiungendo una prosperità invidiata da molti, ma anche un incremento delle esportazioni e un surplus commerciale, mettendo in difficoltà le economie degli altri Paesi europei. Le ulteriori riforme di Angela Merkel, al suo storico quarto mandato come cancelliere, consolidarono il sistema economico: aumento dell’età pensionabile, pareggio di bilancio dello Stato federale e delle regioni, eliminazione di molti benefici sociali hanno aumentato le disuguaglianze sociali, ma anche l’occupazione. La Germania ha riformato il suo sistema del credito, riducendo o eliminando la presenza delle banche nel capitale dei grandi gruppi industriali e, più di recente, ha salvato il sistema bancario iniettando oltre 200 miliardi di euro di fondi pubblici. La recente crisi economica è stata superata grazie a un approccio collaborativo tra datori di lavoro, lavoratori e sindacati e, rispetto al 2000, il costo del lavoro è sceso del 15%. Certo, i problemi non mancano: due esempi sono la burocrazia e la lentezza nello sviluppo infrastrutturale. Basti pensare che alcune autostrade ricalcano quelle dell’epoca nazista o che l’apertura del nuovo mega- aeroporto di Berlino-Brandeburgo è stata rinviata varie volte, mentre i costi sono lievitati da 2,4 a oltre 7 miliardi di euro.

L’appoggio all’Unione europea

L’Unione europea (Ue) è il perno della politica estera della Germania, uno dei 6 Paesi fondatori, e proprio l’integrazione europea trova una delle sue cause nella volontà degli altri Stati membri di includere la potenza tedesca in un sistema economico, politico e sociale condiviso. La rinuncia al marco per l’euro fu un modo per ancorare la Germania all’Ue. Un punto di debolezza, che discende anche dal timore, per non dire vergogna, del militarismo tedesco che ha portato a due guerre mondiali, è invece la politica di difesa. Le forze armate tedesche, composte da circa 60 mila soldati, sono male equipaggiate e demotivate. Ecco perché la Germania auspica una difesa comune europea e, pur essendo saldamene nella Nato, con l’annullamento dell’ordine degli aerei da combattimento americani F35, intende sostenere le società tedesche e francesi impegnate nella costruzione di un aereo da guerra europeo, l’Eurofighter Typhoon, ma anche mandare un messaggio agli Stati Uniti di Donald Trump.

Il ruolo internazionale

La Germania ha assunto un ruolo significativo nella comunità internazionale, restando una nazione stabile e un attore geopolitico sempre più presente nelle aree di crisi: Iran, Ucraina, Iraq, Libia, Siria e, ovviamente, i vicini Paesi balcanici. Negli ultimi anni la Germania ha accolto oltre un milione di profughi (di questi, il 40% proviene dalla Siria e hanno quasi tutti profili professionali molto alti). Ancora, in un’epoca pervasa dal ritorno del protezionismo e dei dazi, la Germania, che fonda la sua crescita sulle esportazioni grazie alla globalizzazione, è una paladina del commercio libero e aperto.

La Germania è oggi la più forte economia europea e la prima manifattura, ma una nuova recessione economica la minaccia. Questo rappresenta un problema in modo particolare per l’Italia, poiché il sistema industriale della Germania è legato fortemente a quello del Nord, dove le imprese nostrane producono una varietà di componentistica utilizzata dalle imprese tedesche (l’Italia è la seconda manifattura d’Europa). I legami culturali con l’Italia sono molteplici e risalgono a secoli addietro: basti pensare al grand tour nel XVII e XVIII secolo e alla forte presenza di turisti tedeschi, tuttora, nel nostro Paese.

Italiani a Berlino

La Germania, Berlino in particolare, è la meta di molti italiani in cerca di lavoro. Il caso di tre sorelle che, una dopo l’altra, si sono recate a Berlino, dimostra quanto l’Italia sperperi le sue risorse, formando e poi perdendo i suoi giovani migliori. Luisa, che lavora in un’azienda di commercio elettronico, arrivò a Berlino nel 2013 con il progetto Erasmus dell’Università di Napoli “L’Orientale”. Vi è rimasta un semestre, per poi decidere di trasferirvisi definitivamente. «La scelta di tornare a Berlino si fondava su diverse ragioni: le maggiori opportunità di occupazione, il carattere profondamente multiculturale e moderno della città e l’efficienza dei servizi. Lasciare la mia città non è stato semplice: ho dovuto confrontarmi, soprattutto all’inizio, con diverse sfide, quali la burocrazia tedesca, l’ostacolo della lingua e l’adeguamento a consuetudini e a un modo di vivere nuovi. Ma queste difficoltà sono state ripagate dalla realizzazione professionale».

Tania, che si occupa di gestione vendite, si trasferì a Berlino 6 anni fa, dopo esserci stata due volte da turista e averne apprezzato la dinamicità e multiculturalità. «Insoddisfatta del mio lavoro precario a Roma, ho prenotato un biglietto aereo di sola andata e un corso di tedesco di due mesi. Dopo 5 giorni nella capitale tedesca, ho iniziato a lavorare in una società di consulenza, in inglese. Ho fatto carriera e ho imparato il tedesco con l’obiettivo di integrarmi nella società. Non è stato semplice, ma nemmeno difficilissimo. A Berlino c’è un mercato del lavoro flessibile che offre prospettive di carriera, puoi interagire con persone che provengono da tutte le parti del mondo e i mezzi pubblici funzionano giorno e notte». Dora, che lavora in un’azienda di moda, è arrivata a Berlino due anni fa per lavoro. «Non è stato sempre semplice: lingua, clima, cultura sono profondamente diversi dall’Italia e servono molto impegno e pazienza per integrarsi. Eppure continuano ad arrivare in tantissimi, italiani e stranieri di tutte le età, con la voglia di mettersi alla prova o iniziare una nuova avventura. La città ha una speciale energia e un forte spirito multiculturale, chi ci vive da molto ci racconta che è irriconoscibile rispetto a qualche anno fa».


Le grandi sfide europee da affrontare insieme

VIKTOR ELBLING, Ambasciatore di Germania in Italia

L’ambasciatore Elbling parla dei cambiamenti che hanno caratterizzato la Germania dopo la caduta del Muro di Berlino, nel quadro dello sviluppo dell’integrazione europea e dei rapporti con l’Italia.

Com’è cambiata la Germania negli ultimi 30 anni, con la caduta del Muro, e quali effetti ha avuto sull’Europa?

La caduta del Muro di Berlino ha reso possibile non solo la riunificazione della Germania, ma anche l’unificazione dell’Europa. Oggi siamo geograficamente al centro dell’Ue, con una società molto più diversa, aperta e moderna rispetto a 30 anni fa. Questo vale anche per l’Europa che è diventata un mercato unico per 500 milioni di cittadini che possono liberamente viaggiare da Helsinki a Palermo, da Varsavia a Lisbona. Nonostante i tanti progressi fatti negli ultimi tre decenni, la riunificazione è ancora un cantiere aperto, così come lo è l’Europa. In Germania ancora oggi c’è un divario, non solo economico, ma d’identità. La cosiddetta Einheit in den Köpfen (unità nella mente) resta un compito per questa e per la prossima generazione.

Come si sono sviluppati i rapporti tra Germania e Italia negli ultimi 30 anni? Come potremmo rendere migliori le nostre relazioni?

Le nostre relazioni hanno fondamenti molto solidi, siamo partner strategici in Europa, nell’industria, nella cultura. Sia l’Italia sia la Germania, due Paesi fondatori dell’Ue e campioni di esportazioni, hanno tratto vantaggio dall’unificazione e poi dall’allargamento dell’Ue, che è lungi dall’essere perfetta, ma è il luogo al mondo con le migliori condizioni di vita. Abbiamo bisogno di un’Europa forte e solidale se vogliamo difendere i nostri valori e i nostri interessi. L’Italia dev’essere protagonista in Europa.

Qual è il ruolo della Germania in Europa oggi e come potrebbe evolversi?

Per la Germania l’Europa è ragion di Stato, ci impegniamo per difenderla e portarla avanti, e lo facciamo come parte integrante di una comunità di 28 Stati membri. Dobbiamo affrontare grandi sfide – dal cambio climatico alladigitalizzazione, dai conflitti internazionali alle migrazioni. Un insegnamento tratto dalla riunificazione europea è che dobbiamo agire insieme.


Una rivoluzione con le  candele e le preghiere

JULIANE BITTNER

30 anni dopo la caduta del Muro di Berlino, una nativa di Lipsia racconta quei giorni in cui la Germania cambiò

«Sono sveglia o sto sognando tutto?». Questi erano i miei pensieri quando mi trovai per la prima volta su Kurfuerstendamm a Berlino Ovest. Nel 1989, i manifestanti di Lipsia, Plauen o Berlino irradiarono così tanta forza e speranza che spinsero gli altri a essere coraggiosi. Poliziotti e funzionari avevano fatto di tutto per vietare alla gente di parlare e per bloccare la strada verso la Chiesa nazionale di Lipsia o la Gethsemanekirche di Berlino. Ma successe il contrario. Le chiese furono trasformate in luoghi di rifugio, con i cittadini della Germania dell’Est, la Repubblica democratica tedesca (RDT), che portavano candele. Quello che era iniziato nella chiesa continuava per strada. Temi come la pace, i diritti umani, la giustizia e la protezione dell’ambiente riunirono persone con diverse visioni del mondo, che condividevano gioie e dolori, paure e speranze. Nell’estate del 1989 siamo diventati più audaci e abbiamo discusso apertamente se lasciare la RDT per dare un futuro libero ai nostri bambini o rimanere e lottare per il cambiamento. Non si può negare che senza i cristiani e la loro azione la rivoluzione non sarebbe stata pacifica. Che sia avvenuta senza spargimento di sangue è un miracolo. Nel settembre 1989 abbiamo avuto la Giornata mondiale della pace. Con le candele accese la gente andava sulla piazza della chiesa e veniva accolta dai poliziotti che gridavano: «Spegnete immediatamente le candele!». I giovani non si fecero intimidire e cominciarono a discutere con i poliziotti. Canti cristiani intonati insieme rasserenarono l’atmosfera.

Allora, molti si fidarono della loro fede e del potere della preghiera. Tutti avevano cura degli altri e nessuno fu preso dalla polizia. Coloro che non potevano essere salvati furono interrogati nella prigione della Stasi a Berlino-Hohenschönhausen. A distanza di 30 anni la protesta è finita, ma le famiglie coinvolte non si sono ancora riprese. L’arcidiocesi di Berlino ha reso possibile la riqualificazione professionale e abbiamo potuto integrarci meglio nel mercato del lavoro. Anche se non è stato facile e c’è chi sente ancora oggi la propria origine, per gli ex-cittadini della RDT ciò che abbiamo ottenuto con la caduta del Muro è più di quanto avremmo potuto sognare. Non c’è più il divieto di parlare e diciamo quello che pensiamo. Ora siamo tutti allegri, come quei sognatori che hanno realizzato il loro sogno.

Traduzione da Neue Stadt e adattamento di Juliette Wachsmuth ed Elena Parisi

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