Viviamo in un mondo in guerra

Le allucinanti crudeltà di cui siamo testimoni a partire dal 7 ottobre confermano le allarmanti conclusioni recentemente pubblicate dal Peace Research Institute di Oslo attraverso il Conflict Data Program di Uppsala: viviamo in un mondo in guerra.
La tragedia della guerra (Roman Chop via AP)

Il numero, l’intensità e la durata dei conflitti nel mondo ha toccato in questi mesi il punto più alto dalla fine della Guerra Fredda. Conflitti violenti, conferma il Peace Research Institute di Oslo, sono in pericoloso aumento in molte parti del globo. L’affermazione finale a cui sono giunti i ricercatori scandinavi è supportata da numeri davvero preoccupanti per il nostro pianeta. Nel 2022 erano 55 i conflitti in corso e la loro durata media era fra gli otto e gli undici anni. La gravità di quanto si cela dietro a questi numeri sta nel fatto che nel decennio precedente le guerre con una durata media di sette anni erano solo (si fa per dire!) 33. Fra l’altro negli ultimi due anni la guerra è tornata in Europa, dopo che il continente, dalla fine del secondo conflitto mondiale, aveva goduto di una relativa pace – eccezion fatta per la carneficina del conflitto Balcanico degli anni Novanta del secolo scorso. Ma le statistiche sono ancora più preoccupanti quando si guarda alla conseguenza di questi conflitti. Infatti, a parte le migliaia di vittime – molto spesso civili e fra questi anche moltissimi bambini – il 2022 ha visto un quarto della popolazione mondiale vivere in Paesi di guerra. Questo significa due miliardi di persone coinvolte, loro malgrado, in conflitti che hanno provocato lo spostamento coatto, per motivi bellici, di 108 milioni di persone solo nei primi mesi del 2023.

È questo il quadro che fa da cornice al tremendo conflitto in Israele con le immagini che continuiamo a vedere ogni sera durante i notiziari e che circolano liberamente sui canali social. La gravità della situazione è confermata dal fatto che l’Unione Europea, come pure gli Usa e la Gran Bretagna, hanno ormai spostato la finalità delle diverse operazioni di pace dalla soluzione dei conflitti alla gestione dei conflitti. Si tratta di una chiara sconfitta; una vera ammissione che le guerre sono inevitabili e, quindi, piuttosto che far di tutto per scongiurarle si deve riuscire a capire come gestirle e come fare con le conseguenze che creano localmente, tentando di minimizzarle.

I motivi per queste recrudescenze belliche, dove i civili sono sempre più coinvolti, è da ricercarsi in diversi fattori. Le guerre oggi sono ingaggiate e combattute fra stati ma anche da gruppi armati impegnati su cause di carattere etnico, sociale, politico e religioso. Inoltre, si fa ormai uso di armi altamente sofisticate e tecnologicamente molto avanzate. Non deve essere ignorato anche il fatto che un buon numero di conflitti si apre facilmente, più che in precedenza, a una dimensione internazionale che, se durante la Guerra Fredda, coinvolgeva solo Nato e Patto di Varsavia, oggi chiama in gioco anche l’Arabia Saudita, l’Iran, gli Emirati Arabi, la Turchia e, spesso anche altri Paesi. Inoltre, il ruolo di quegli organismi – le Nazioni Unite su tutti – che dovrebbero essere garanti della pace o tentare processi di mediazione è sempre più difficile, se non impossibile. I colloqui che emergono per la ricerca di portare almeno a un cessate-il-fuoco non mirano, di fatto, ad arrivare alla pace quanto a obiettivi limitati. Nella guerra russo-ucraina il risultato più lusinghiero è stato l’accordo del 2022 che permette alle navi che trasportano grano ucraino di uscire indenni dal Mar Nero. Infatti, non si mira più a cercare soluzioni a lungo termine. Lo dimostra la guerra fra Hamas e Israele, che mette a nudo quanto i cosiddetti Accordi di Abramo non siano riusciti a rivolgersi in modo credibile ed efficace al cuore del conflitto fra Israele e Palestina. Lo stesso conflitto in Siria è semplicemente congelato e potrebbe ripartire in qualsiasi momento proprio a causa di un mancato progresso dei negoziati fra le parti interessate.

Eppure sembra che il mondo preferisca non vedere. Un interessante articolo della rivista americana Foreign Affairs, da dove si è attinto per i dati di cui si fa menzione in questo articolo, afferma alla fine di settembre scorso che il Consigliere per la sicurezza nazionale Usa, Jake Sullivan, sosteneva che il Medio Oriente era più tranquillo di quanto non fosse mai stato negli ultimi due decenni. L’attacco di Hamas, qualche giorno più tardi, ha tragicamente smentito questo commento, dimostrando, semmai, esattamente il contrario e confermando l’attualità dello stato di guerra in cui si trova buona parte del globo.

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