La storia gira e si ripete

Esce il 9 novembre Lubo, sulla persecuzione degli Jenisch, e su Netflix la miniserie Tutta la luce che non vediamo. Storie di guerra.
Foto Matteo Rasero - LaPresse 07-09-2023 Venezia Spettacolo 80. Mostra internazionale d'arte cinematografica Photocall del film Lubonella foto: cast2023-09-07 Venice 80th Venice Filmfestival Lubo, photocallin the photo: cast

C’erano e ci sono gli Jenisch, la terza popolazione nomade europea di origine germanica. Vittima della campagna nazionalista ad opera della fondazione Pro Juventute dedicata ai diritti dei bambini, ma in realtà occupata a toglierli alle famiglie e a sfruttarli con una violenza inaudita. La Svizzera, terra dai molti segreti e dalla facciata inossidabile, finalmente e solo da poco ha avuto il coraggio di ammettere questa sorta di olocausto in minore dettato dalla incapacità di comprendere la diversità.

Ne parla Lubo, splendido film di Giorgio Diritti, presentato a Venezia e dal 9 novembre in sala. Racconta di Lubo Moser, artista di strada che si esibisce nelle piazze con la moglie Miranda e i loro tre bambini. Dalla Germania degli anni Trenta soffiano venti bellici e razzisti. Lubo viene arruolato e mentre è nell’esercito scopre che la polizia gli ha ucciso la moglie e preso i bambini per portarli chissà dove. Lo Stato non è con lui. Negli anni l’uomo utilizza ogni mezzo per ritrovarli tra fughe, vendette, travestimenti finchè verrà incarcerato: anche dalla prigione continuerà a cercare i figli. Li troverà? Ci sarà qualcuno che avrà “compassione” di lui e della sua famiglia dispersa?

Il racconto è lungo – la prima parte forse migliore della seconda -, circostanziato, drammatico e talora giocoso. Una tristezza ed una speranza tengono vivo Lubo (l’ottimo Franz Rogowski) disposto a tutto, a sopportare cattiverie ed umiliazioni, a non fuggire con la comunità in Francia, a non disperare sino alla fine. Diritti narra la privazione della libertà in questo artista non accettato dalla “democratica” Svizzera, in realtà chiusa in sé stessa. Immagini dolenti si alternano ad altre luminose della natura. Diritti non accusa: narra, mostra. Lubo nonostante tutto è il vero vincitore morale di un dramma ingiusto. Da non perdere.

 

Su Netflix

Tutta la luce che non vediamo è la miniserie in 4 puntate diretta da Shaw Levy, produzione Usa. Due giovani nel 1945 si trovano a Saint-Malo nella Francia del nord-ovest. C’è la guerra. Lui, Werner Pfenning (Louis Hofmann), è un ragazzo tedesco geniale, educato dai nazisti, che però non crede nella violenza e genera sospetti nei suoi capi; lei, Marie-Laure (Ariè Marie Roberti), è una giovane cieca ebrea che ha perso il padre (Mark Ruffalo). Legge in una radio locale il libro Ventimila leghe sotto i mari, in realtà un messaggio in codice per gli anglo-americani in arrivo. I due si conoscono da anni tramite le letture alla radio, vietate per i nazisti. I tedeschi fanatici cercano la ragazza e Werner cerca di salvarla, anzi di salvarsi insieme. Li guida una luce interiore, quella vera, della coscienza più pura dei giovani.

Miniserie delicata e drammatica, gioca sul filo del contrasto emotivo: la purezza e la paura dei ragazzi e la brutalità degli adulti (anche dei partigiani). Il racconto non fa sconti: tutti sono crudeli in guerra. I giovani ne scoprono l’assurdità, l’irragionevolezza, da qualunque parte stiano: la guerra distrugge la ragione. Una lezione anche per oggi. Dal 2 novembre su Netflix.

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