Uno dei compiti che Dio dà a Elia al termine della sua vita è di trovarsi un successore e di insegnargli il mestiere del profeta. Training on the job, si direbbe oggi. Dio gli indica pure il candidato. Un certo Eliseo. Elia lo incontra per caso, mentre sta arando i campi con dodici coppie di buoi (ancora quel numero dodici!). Nessun colloquio. Elia capisce al volo che è lui. Come accade spesso nella vita, direbbero oggi gli psicologi «gli inconsci si parlano», ancor prima che si proferisca parola. Elia, senza aprir bocca, getta il mantello sulle spalle di Eliseo. Che smette di arare. Poi gli dice: «Sai cosa ti ho fatto» (senza punto interrogativo). Eliseo risponde: «Sì». Ma aggiunge: «Lascia che vada ad abbracciare mio padre e mia madre, poi ti seguo». Non ha fretta di seguire Elia, sembra quasi anticipare la preghiera che scriverà secoli e secoli dopo sant’Agostino da ragazzo: «Signore, rendimi casto, ma non subito!». Elia gli concede tempo. Gli dice: «Va’». E si mette in disparte ad aspettarlo. Eliseo va a salutare i genitori. Vuole festeggiare un’ultima volta con loro, i parenti, gli amici, la gente del villaggio. Uccide una coppia di buoi. Prepara un grande barbecue. Con gli attrezzi di legno che usava per lavorare, accende un fuoco. Arrostisce i buoi. Mangiano, bevono. Quanto dura la festa? Chissà. Nel Medio Oriente erano abbastanza lunghe all’epoca. Elia continuava a starsene in disparte. Era fatto così, un tipo solitario.
Finita la festa, Eliseo saluta tutti. Ha fatto la sua scelta, bruciato i ponti alle sue spalle. Dio aveva scelto un fuoriclasse per continuare l’opera di Elia. Eliseo si dimostrerà uno dal miracolo facile. Moltiplicherà il poco olio di una vedova permettendole di pagare i debiti e sopravvivere lei e i suoi figli; annuncerà la gravidanza a una donna sterile; resusciterà un fanciullo morto; farà riemergere un’ascia persa in un fiume e la farà galleggiare; moltiplicherà i pani; catturerà un intero distaccamento di soldati aramei facendoli colpire da un’epidemia di cecità; annuncerà la fine di una carestia; saprà leggere dentro i cuori, predire il futuro; pure da morto compirà miracoli, resuscitando un uomo il cui cadavere era stato gettato sul suo sepolcro. Un Curriculum niente male!
Uno di questi miracoli riguarda Naaman, un nemico giurato di Israele, comandante dell’esercito arameo, che assai spesso invadeva brutalmente le terre degli ebrei. Naaman però aveva un problema. S’era ammalato di lebbra, una malattia temuta e socialmente devastante. La moglie di Naaman aveva come schiava una giovane ebrea, rapita in una delle razzie degli Aramei in Israele. Quando la giovane seppe della lebbra che aveva colpito il marito della sua padrona, si fece avanti, disse che conosceva Eliseo e la sua abilità di compiere miracoli. Consigliò a Naaman di recarsi a Samaria e cercare l’aiuto del profeta. Ma siccome Naaman era una persona importante, e nemica, non poteva entrare in Israele facilmente. Così si mosse la diplomazia. Il re di Aram scrisse una lettera ufficiale al re d’Israele chiedendo aiuto per il suo generale, senza menzionare Eliseo. Il re d’Israele quando ricevette la lettera s’insospettì. E pensò: «Come posso io far guarire Naaman? Questo è un trabocchetto che il re di Aram sta preparando per farmi guerra». Si fece però avanti Eliseo. Disse al re d’Israele di non preoccuparsi e di mandargli Naaman. Ci avrebbe pensato lui. Naaman partì con un grande seguito per incontrare Eliseo. Ma, quando giunse davanti alla casa del profeta, Eliseo non uscì a riceverlo. Non aveva certo timore riverenziale per i potenti. Gli inviò uno dei suoi servi con istruzioni sorprendenti. Naaman avrebbe dovuto immergersi sette volte nel fiume Giordano per essere guarito. Naaman si offese. Eliseo non era neppure venuto a salutarlo. E poi cos’era questa storia di bagnarsi nel fiume? Lui si aspettava una cerimonia grandiosa, uno strabiliante gesto miracoloso da parte del profeta. Naaman era furibondo. Ma uno dei suoi ufficiali gli disse: «Lascia perdere! In fondo non ti ha chiesto nulla di difficile, solo di bagnarti nel fiume. Se funziona, bene, se no potremo vendicare l’offesa che t’ha fatto il profeta». A Naaman parve un discorso di buon senso. S’immerse nel Giordano sette volte, e al settimo tuffo, la sua pelle lebbrosa divenne liscia come quella di un bambino, guarita. Naaman tornò da Eliseo per ringraziarlo e offrirgli doni, ma il profeta rifiutò. Il merito della guarigione spettava a Dio e non a lui. Il servo di Eliseo però corse dietro a Naaman e si fece dare per sé i doni. S’era dimenticato però che il suo padrone era un profeta. Quando lo vide, Eliseo gli disse: «Che cosa hai fatto, scellerato! Ora la lebbra che ha lasciato Naaman si attaccherà a te». E così fu. Naaman intanto aveva prelevato un po’ di terra del suolo d’Israele per portarla nel suo paese e così pregare e ringraziare il Signore. Effetto d’un gesto cortese fatto a un nemico. Grande Eliseo!
Ma c’è un episodio della sua vita che oggi ci lascia alquanto perplessi. Eliseo è in viaggio, quando dal bosco sbucano dei fanciulli che iniziano a prenderlo in giro e canzonarlo: «Testa pelata! Testa pelata!». Eliseo era calvo. Lui si volta e li maledice nel nome di Dio. Immediatamente escono dal bosco due orse che sbranano tutti e 42 i fanciulli. Oggi, in epoca di cancel culture, questo “miracolo” verrebbe depennato dalla Bibbia. È ripugnante, orribile, inaccettabile. Ma all’epoca dei fatti era considerato in tutt’altro modo. Era un racconto esemplare, edificante, che voleva semplicemente dire, nei toni accesi e sanguigni che piacevano all’epoca: ragazzi, guai a mancare di rispetto a un uomo di Dio! Una lezione valida ancora oggi. Ma in ogni caso, se vi capitasse di imbattervi per strada in un tipo dalla testa pelata che vi pare essere il profeta Eliseo… per precauzione, girate alla larga! Non si sa mai cosa può combinare.