I Leoni di Sicilia: parlano i protagonisti

In occasione della presentazione della serie alla Festa del Cinema di Roma, attori e regista si sono raccontati. E hanno raccontato i propri personaggi
Il cast e il regista de I Leoni di Sicilia alla Festa del Cinema di Roma (foto Giulia Parmigiani)

È stata presentata alla XVIII Festa del cinema di Roma la serie I leoni di Sicilia, tratta dal romanzo omonimo di Stefania Auci. Disponibile su Disney + dal 25 ottobre con i primi quattro episodi (i secondi quattro dal 1 novembre), è diretta da Paolo Genovese ed ha nel cast attori italiani importanti come Michele Riondino, Miriam Leone, Vinicio Marchioni e Paolo Briguglia. È un affresco epico della Sicilia dell’Ottocento, una storia di ascese sociali e passioni dentro una terra destinata a cambiare. Della serie hanno parlato i protagonisti presso l’Auditorium Parco della Musica. Il primo è stato il regista, che è partito dalla lettura del romanzo che lo ha colpito molto.

Paolo Genovese: Ho pensato che ci fosse del materiale prezioso per raccontare una storia potente. Mi hanno colpito i contrasti di questo romanzo: quelli di un periodo storico e di una regione raccontati su diversi livelli che si intrecciano. Ci sono i moti rivoluzionari, la Sicilia borbonica, Garibaldi e l’annessione al futuro Regno d’Italia. C’è una borghesia che cresce col commercio e i soldi. C’è una nobiltà che decade. Sono due classi opposte che hanno bisogno una dell’altra, e su questa rivoluzione si innesta quella personale dei due protagonisti: Giulia, che cerca di affrancarsi da una società fortemente patriarcale, e Vincenzo Florio, che travolto da una passione incredibile va contro gli interessi della famiglia mentre sta crescendo, sta diventando sempre più potente. Tutti lo vorrebbero sposato con una nobile. Ecco, questi contrasti sono di grande fascinazione.

Il personaggio di Giulia è interpretato da Miriam Leone, che ha spiegato il suo rapporto con questo ruolo.

Miriam Leone: Sono felice e grata di aver interpretato questo personaggio. È stato un grande regalo. Dopo aver letto il libro, l’ho regalato a mia madre e mia zia: le donne della mia famiglia, dicendo loro che parlava di noi. Mi emoziona pensare che Giulia fa parte dei nostri avi, che sia realmente esistita e ha lottato per le donne che oggi hanno la fortuna di essere libere. Purtroppo non in tutti i luoghi del mondo. Sono innamorata di Giulia, della sua libertà, del suo decidere il proprio destino, non solo per amore di un uomo, ma di se stessa. Quella era la condizione di molte donne, allora: venivano uccise in alcuni luoghi per il disonore, mentre lei trova disonorevole la vita che il patriarcato ha deciso per lei. Si rende conto che non è la sua e compie una rivoluzione. È una ribelle coraggiosa. Ho nutrito il personaggio di molti perché: «Perché mio fratello può fare questo e io no?» «Perché gli uomini possono fare certe cose e noi no?». Dedico questo lavoro a tutte le donne che ogni giorno continuano a combattere contro una società che non le ascolta e cerca di annientarle. Grazie Giulia per averci reso un po’ più libere.

Vincenzo Florio, di cui Giulia si innamora, ovvero il protagonista di una serie che racconta comunque diverse generazioni di una famiglia, è interpretato da Michele Riondino, che ha parlato degli aspetti molteplici del suo personaggio.

Michele Riondino: Di lui mi ha colpito l’essere totalmente orientato verso il futuro: è un visionario, un precursore dei tempi, un viaggiatore. Conosce il mondo, è testimone della rivoluzione industriale in Inghilterra e la vuole portare in Sicilia. Storicamente è un momento di frammentazione e confusione: non c’è una nazione, ma tanti piccoli stati. Florio ha una visione del futuro della Sicilia legata al progresso. È affascinante e contemporaneo pensare che se le cose fossero andate come aveva sperato, oggi potremmo concepire un’Italia capovolta con la Sicilia a capo di un Nord produttivo. Nella sua antipatia, nel suo essere ruvido e spigoloso, è un rivoluzionario che si innamora di una rivoluzionaria e la sua vita viene condizionata. Si sostengono e si mettono molto in difficoltà, perché se Giulia lotta contro il patriarcato, Vincenzo difficilmente riesce a superarlo. Sono due poli che si attraggono e nell’esplosione che ne nasce ci troviamo noi oggi.

Sulle sfumature di Vincenzo Florio ha aggiunto parole lo stesso regista.

Paolo Genovese: Era a suo modo contraddittorio, qui sta il suo fascino. Non era monocolore. Era spregiudicato negli affari e voleva raggiungere gli obiettivi a tutti i costi. Era innamorato della sua visione. Quando questa veniva osteggiata, criticata, rifiutata, diceva: «Non sto sbagliando, semplicemente gli altri non vedono quello che io vedo». È in fondo l’atteggiamento che porta al progresso. Però aveva dei momenti di vicinanza verso il popolo, probabilmente in memoria delle sue radici estremamente popolari. Si commuove quando vede i bambini molto piccoli che estraggono lo zolfo dalle solfatare e protesta: chiede paga doppia e di dare da mangiare alle famiglie. Crea posti di lavoro. Certo, lo fa per le sue imprese ma crea benessere. Umanamente è combattuto: vive un grandissimo amore ma sente l’importanza di sposare una nobile per mischiare il suo sangue. Rimarrà combattuto sempre, con aspetti più e meno piacevoli, arroganti e teneri.

Nel cast ci sono anche Paolo Briguglia e Vinicio Marchioni, che interpretano la prima generazione dei Florio, quella che dalla Calabria del primo ottocento emigra a Palermo. Sono i fratelli Paolo e Ignazio Florio.

Paolo Briguglia: Sono i capostipiti che partono da una terra molto povera dopo diversi traumi. Per il terremoto hanno perso i genitori e rischiano di smarrire quello che gli è rimasto. Tutti i Florio, con le loro diversità, con i punti di forza e di umana debolezza, offrono un contributo fondamentale: se non ci fossero stati, la storia sarebbe stata molto diversa. Quando Paolo, il fratello più grande, muore, Ignazio si ritrova a dover cambiare natura: da agnello diventa Leone. È la storia di una famiglia di poveri migranti che diventano leoni. Ignazio rimane fedele alla missione che a Paolo a viene in mente.

Vinicio Marchioni: Ho sentito la responsabilità di interpretare questo personaggio che apre la serie. Paolo è colui che prende la decisione di lasciare la Calabria terremotata per inseguire un sogno. Di partire per una Palermo allora città multietnica e importantissima per gli scambi economici e culturali nel Mediterraneo. Il mio viaggio in questo ruolo è stato bellissimo. Se oggi siamo ancora una nazione fondata su un certo tipo di patriarcato all’origine ci sono i personaggi come Paolo, che è una somma di tutti i padri padroni testardi e cocciuti di un’epoca in cui i padri stessi erano poco attenti ai sentimenti e molto a costruire qualcosa. Con Paolo Genovese ci siamo detti di non fare nessun passo indietro nella descrizione di quest’uomo. Per fortuna qualche passo in avanti lo abbiamo fatto, anche se tanti sono ancora quelli da fare nei rapporti tra uomo e donna. Paolo continua a parlare in calabrese, perché ci piaceva sottolineare il suo continuare a sentirsi straniero a Palermo. Qui poteva stare il motivo della sua fame, della sua smania di affermazione economica e identitaria, che inculca a Vincenzo Florio. Paolo è stato un pò dimenticato: suo nipote si chiamerà Ignazio, non Paolo.

Miriam Leone torna sulla sicilianità del suo personaggio.

Miriam Leone: Noi siciliani siamo una multietnia: in Sicilia sono passati tutti e questa diversità è stata una ricchezza. Potrei essere cittadina del mondo, in qualunque luogo mi sento a casa. Nelle mie radici siciliane ci sono i tanti scambi culturali di una terra che ha grande fertilità ma al tempo stesso è molto patriarcale. Però sa accogliere, dare un’opportunità a chi ha una visione. Sono molto felice di essere entrata in una storia che parla di Sicilia ma non di mafia, che riscatta le cose belle che ci sono e ci sono state nella nostra terra. Ho sempre lottato con il sorriso per la mia indipendenza.

Paolo Genovese spiega dal suo punto di vista il rapporto tra I leoni di Sicilia e Il Gattopardo, rispondendo a una domanda sul primo come controcampo borghese del secondo.

Paolo Genovese: Il pensiero a quel film è inevitabile, ma non avevo pensato a questa riflessione, che però trovo interessante. Il mio pensiero di antitesi tra le due opere è che Il Gattopardo è un film sull’immobilismo. I leoni di Sicilia è sul movimento, sulla trasformazione, sul cambiamento.

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