Lo spazzino e la rosa

Scrittore e poeta “della strada”, Michel Simonet è la prova che si può essere contemplativi anche avendo a che fare quotidianamente con immondizie
Costabile

Si è mai visto un netturbino spingere per strada il suo carretto colmo di immondizia ma che al tempo stesso esibisce orgogliosamente una rosa dal lungo stelo, mantenuta fresca da una ampolla d’acqua? È quanto si può osservare per le vie di Friburgo, città svizzera con un centro storico medievale in cui, bellissima, spicca la cattedrale gotica. Lui, Michel Simonet, 61 anni, di Zurigo, sposato e padre di sette figli, è una figura atipica di scrittore e poeta, che dopo la laurea in Economia e un corso di teologia, nella sua opera prima Lo spazzino e la rosa (AnimaMundi Ed.) racconta aneddoti e scoperte di un mestiere scelto “per vocazione”. E lo fa con garbo, leggerezza, humor, come non ci si aspetterebbe trattandosi di un lavoro ripetitivo e tutt’altro che gradevole.

Paziente nello svuotare quotidianamente i soliti contenitori strapieni d’immondizia e nel ridare alle strade un aspetto decente dopo un giorno di festa («la mia Via Crucis»), il nostro Simonet conduce imperterrito la sua guerriglia urbana all’insegna della bellezza e dell’armonia, pago di lasciare dietro di sé un pezzo di città più pulito, anche se il giorno dopo dovrà tutto ricominciare. E mentre il menefreghismo abbandona per terra rifiuti, lui dissemina nel suo racconto frasi rivelatrici come queste: «Quando si ama, si vede la bellezza nascosta in ogni cosa»: «Sono sporca ma bella,/dice Cinderella».

Suo patrono è Ercole che pulisce le stalle di Augìa (una delle sue dodici fatiche). Arma preferita è la scopa, a cui da qualche tempo s’è aggiunto il “Glutton” (ghiottone), il vorace aspiratore di 350 chili col quale netta marciapiedi e strade da cicche e altre prelibatezze: marchingegno rumoroso e proprio per questo da lui solo tollerato. D’altra parte il mestiere di spazzino si va meccanicizzando, e sempre più lo sarà in futuro. Il suo commento: «Friburgo s’ammoderna:/ è un bene e così sia./Ma bisogna per forza/che perda la poesia?».

In quasi trent’anni, filosofeggiando e pulendo, ne ha raccolte per terra di monetine: un gruzzoletto che a questo divoratore di pagine è servito ad accrescere la sua collezione di classici della prestigiosa Bibliothéque de la Pléiade, a nutrimento del suo spirito.

Anima contemplativa («Non sono mai le meraviglie a mancare, ma la capacità di meravigliarsi attraverso tutti i sensi»), Simonet aderisce al Vangelo nella sua forma più semplice: la cosiddetta “fede del carbonaio”. Come quando confida: «Sono un cristiano dell’aria aperta, parrocchiano della strada, e cattolico per rivendicazione, sacrestia e leggio. Che nutre una certa simpatia per tutto ciò che sostiene l’amore concreto, universale e incondizionato per il prossimo».

L’appartenenza di Simonet alla schiera di chi non si rassegna all’incuria e alla bruttezza, ma con perseveranza e ottimismo lavora per contribuire ad un mondo più umano e vivibile risulta palese da questo brano: «Un’ulteriore e semplicissima fonte di felicità: non devo far altro che guardarmi indietro per contemplare il quartiere pulito che le mie stesse mani hanno spazzato. Sopraggiunge allora una sensazione di immediata utilità che fa sentire tanto bene: un piccolo Nirvana in terra, per un paria volontario. So che a qualcuno può sembrare strano, ma a me piace davvero spazzare, ripetere gli stessi gesti, spingere il carretto, raccogliere mucchi di foglie, raschiare un tappeto di neve, e spaccare il ghiaccio. Sono piaceri fisici e naturali che, in prima istanza, non devono niente alla filosofia, all’idealismo, al masochismo o all’abnegazione, ma sono pilastri di spiritualità e presuppongono una forma di grazia, con in più il fatto di lavorare all’esterno, sotto un cielo mutevole che ci insegna ad essere aperti alla diversità e ad apprezzare il lato empirico della vita di tutti i giorni, l’importanza del momento presente, e che consacra di lassù il felice incontro tra un mestiere e un temperamento».

Senza contare le “altre professioni” che ha spesso occasione di praticare, in quanto partecipe in modo casuale (o provvidenziale) di eventi tristi e gioiosi: fotografo se richiesto da qualche turista per un selfie; facchino in aiuto di un’anziana con valigia pesante in stazione; impiegato dell’ufficio turistico per dare informazioni ai visitatori di passaggio; agente di polizia urbana, quando in seguito ad un incidente la circolazione deve riprendere; autista in seconda che, lavoro permettendo, monta sul sedile di un mezzo pesante per condurlo in un punto complicato della città; pacificatore quando, con la propria presenza o parola, riesce a smorzare una situazione tesa e conflittuale; primo soccorritore di una persona ferita o che si è sentita male; giardiniere della sua rosa e via di questo passo.

Insomma, si può star certi che quando sarà il momento, alla pensione Simonet arriverà ancora entusiasta del suo mestiere, fresco come quella rosa offerta quotidianamente da un cortese fioraio locale. Rosa che, attirando la curiosità di passanti e turisti, per lui è ormai «una sorta di necessità spirituale che manifesta anche la pienezza nascosta di una professione che si fa professione di fede».

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