2050, in quale mondo vivremo?

Viviamo l'epoca della fine della globalizzazione. Ci eravamo illusi di poter vivere in un’epoca di prosperità e libertà incondizionata. Stiamo andando verso un mondo dominato da pochi signori che controllano gli strumenti digitali o possiamo costruire una società più giusta, democratica, sostenibile sul piano ecologico?
Il mondo dopo l'11 settembre 2001 Foto Light at lower Manhattan, in New York. (AP Photo/Eduardo Munoz Alvarez)

Vivremo nella società intelligente nel 2050 o nella stupidità di massa?  In quale tipo di civiltà si troverà il mondo che ci aspetta? Essenziale sarà sicuramente la libertà, accanto a uguaglianza e fraternità che le tiene insieme.

Oggi siamo alla crisi definitiva della globalizzazione, dopo le Torri gemelle del 2001, la crisi finanziaria del 2008, la pandemia del 2020, la guerra scatenata dai russi nel 2022 in Ucraina.

È la fine della modernità liquida. Dobbiamo ripensare il futuro alla luce di un nuovo paradigma, per superare quello tecnico-scientifico verso un nuovo equilibrio geopolitico ed ambientale mondiale. La sostenibilità e la digitalizzazione saranno le compagne del nostro difficile cambio d’epoca. Vivremo in un mondo di intelligenza diffusa o in contesto distopico, burocratizzato e centralizzato?

Noi ci troviamo nel mezzo, tra 1989 e 2050. Come sopravviveremo alle sfide che abbiamo posto alla Terra negli ultimi tre secoli, a partire dalla Rivoluzione industriale? Saremo più ricchi o più poveri, in armonia con la natura o in piena crisi climatica?

Dipende da come sapremo correggere gli errori della globalizzazione sfrenata. Per ora vediamo élite irresponsabili ed una carestia di statisti, regimi autocratici e dittatoriali accanto a crisi delle democrazie liberali.

Nel mondo si vede una classe creativa ma senza potere. Poi una immensa neoplebe senza diritti, senza riferimenti valoriali e risorse materiali. Ci auguriamo una grande riduzione delle disuguaglianze con la formazione di Stati- Continente in relazioni equilibrate tra loro in un nuovo ordine geopolitico mondiale.

Immaginiamo una società glocale intelligente con reti di città che collaborano. L’attuale globalizzazione apparirà come un esperimento sbagliato di un apprendista stregone. Abbiamo pensato di omologare mercati, stili di vita, Stati mentre esistono gruppi umani, modi di produzione, entità naturali con una propria storia e cultura.

Pensando di ridurre tutto ad un uno uniforme annullando le diversità, abbiamo creato enormi disuguaglianze. La fine dell’età del carbonio ha liberato le energie rinnovabili ma la transizione energetica è troppo lenta. Il capitalismo si sta trasformando con la diffusione dei beni comuni: dati, conoscenza, acqua, terra, aria.

Riusciremo a salvare la Terra con la discesa della curva delle temperature medie? L’ambiente e la società sono organismi da rigenerare. Usciti dalla pandemia, e si spera dalla guerra in Ucraina, dobbiamo gettare un ponte di transizioni e conversioni per arrivare al 2050.

È finita un’epoca; una nuova sorge all’orizzonte. Le leve sulle quali agire per una rapida trasformazione della realtà si chiamano cura, resilienza, responsività, interdipendenza, pro- tensione. Sono vie obbligate, indicate dalle diverse emergenze.

Non possiamo tornare indietro. Abbiamo però bisogno di una visione condivisa per costruire il futuro di un mondo in cui tutti siamo responsabili.
Ci salveremo solo se la cooperazione sostituirà l’aggressività e la volontà di potenza. Alla crisi dilagante possiamo rispondere riscoprendo un’idea di libertà aperta alla comunità. Ci troviamo sul crinale tra due epoche. Sta finendo l’epoca della globalizzazione fondata su individualismo, consumismo, liberismo.

«Stiamo entrando nella supersocietà, un inedito intreccio tra processi già in corso da tempo che si caratterizza per la convergenza di tre dimensioni: la stringente interdipendenza tecno-economica su scala globale; il nesso inestricabile tra azione umana e biosfera; l’assorbimento sempre più spinto della soggettività nel processo di autoproduzione sociale». Così Giaccardi e  Magatti nel libro “Supersocietà”, Il Mulino 2022.

Ci eravamo illusi di poter vivere in un’epoca di prosperità e libertà incondizionata. Stiamo andando verso un mondo dominato da pochi signori che controllano gli strumenti digitali o possiamo costruire una società più giusta, democratica, sostenibile sul piano ecologico?

Ci riusciremo se riscopriremo il senso profondo della relazione che è responsabilità e generatività, il noi al posto dell’io per alimentare la comunità. Potremo vivere la “complessità e intelligenza vivente della supersocieta’ “, dopo entropia, antropia e shock.

Lo strumento per riuscirci si chiama educazione attraverso una revisione profonda dei processi formativi, fondati su un nuovo pensiero, su nuove forme di azione all’altezza della complessità in cui viviamo. Le organizzazioni devono diventare laboratori di conoscenza per sviluppare autonomia e coordinamento.

Dobbiamo ritessere le dimensioni spazio-temporali per vivere in territori di apprendimento contributivo, in milieux associati in cui tecnica, comunità e natura coesistono.  Come dicono Magatti e Giaccardi «È lo spazio del concreto vivente, in cui ciascuno ha un nome che dà la misura e il ritmo dell’esistenza. Che tiene con i piedi per terra, riporta alla realtà nella sua integralità e complessità, permette di volere bene, di prendersi cura, di imparare ad essere creativi. E questo spazio personale che permette la libertà in cui si radica e si sviluppa l’intelligenza vivente- il genius vitae che va continuamente custodito e coltivato insieme.  L’unico antidoto all’entropia e all’antropia, via non automatica per una vera sostenibilità, che pensa la libertà come relazione, nella tensione paradossale tra legame e desiderio. Nella interdipendenza».

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