Ritorna 2001 Odissea nello spazio

Torna restaurato nelle sale il film capolavoro di Stanley Kubrick, su romanzo di Arthur C. Clarke

Torna nelle sale oggi, 4 giugno 2018 – esattamente cinquant’anni dopo la sua nascita – il film più famoso di sempre in ambito di fantascienza: 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick. Magnificamente restaurato sotto la supervisione di Christopher Nolan, ma in analogico, senza ricorrere alla tecnica digitale: “soltanto”, si fa per dire, sistemando pezzo per pezzo le parti rovinate di pellicola. Una visione madre, quella riguardante questo film: un’immersione immensa, meravigliosa, profonda e molto, molto complessa.

Ecco, infatti, subito una domanda: è solo un film di fantascienza, 2001, o meglio ancora, è davvero un film di fantascienza? O è forse un’opera che, seppure ambientata – quasi tutta – nel futuro, vuole interrogarci su temi antichissimi, che da sempre ci fanno arrovellare? Per esempio, che cosa è la vita? Da dove viene? Verso dove si dirige e che cosa diventa alla sua fine? Chi organizza tutto questo?

In fondo i generi sono scatoloni vuoti e Kubrick li ha sempre riempiti di materia umanistica: non gli interessava tanto denunciare il Vietnam col film di guerra Full Metal Jacket, né limitarsi al film storico sulla “Guerra dei sette anni” quando realizzò Barry Lyndon; quanto parlare della sostanza interiore che ci abita, ci divora e ci fa muovere. Oggi, come ieri e come domani. Certo, rispetto agli altri film del regista americano, tutti carichi di spessore contenutistico, 2001 è certamente il più sfuggente, misterioso e inafferrabile, il più aperto all’interpretazione e quindi “pericolosamente” oggetto di riflessioni libere, di viaggi ermeneutici, anche loro odisseici, in cui lo spettatore può facilmente imbarcarsi e dolcemente naufragare.

Del resto lo stesso Arthur C. Clarke, autore della sceneggiatura insieme a Kubrick – e del racconto La sentinella da cui 2001, in qualche modo, è tratto – disse che se qualcuno avesse capito il film alla prima visione, beh, allora sia lui che il regista avrebbero fallito la missione. Kubrick stesso venne in soccorso degli spettatori muti, attoniti, ai blocchi di partenza in fatto di interpretazione, subito dopo la visione di 2001; così come acconsentì ufficialmente che ogni cinefilo o libero pensatore sfruttasse il sacrosanto diritto di osare nella decodificazione della sua opera: «Siete liberi di speculare a vostro piacere – spiegò il maestro dando sollievo a molti – sul significato filosofico e allegorico del film».

Bene! È doveroso ancora oggi, allora, e lo era forse ancor di più nel lontano 1968 – quando i giovani non sapevano nulla di digitale e di informatica, ma parlavano tantissimo di libertà e immaginazione al potere – partire scialli e open mind davanti a questo solenne e grandioso monumento del cinema. Conviene in primis godersi le emozioni che le sue immagini regalano, quelle che la sua musica, le sue idee visive e architettoniche, le sue previsioni tecnologiche – la videochiamata interstellare e soprattutto l’intelligenza artificiale di HAL 9000 – producono in abbondanza.

Conviene prima di tutto abbandonarsi alla potenza drammatica delle immagini terrestri del primo capitolo: L’alba della civiltà, senza parole ma con gesti e azioni che toccano nel profondo, e poi alla delicatezza delle astronavi bianche che rotolano morbidamente tra i pianeti, o alle navicelle spaziali che tagliano mute l’aria pulita nella notte stellare, mentre i due Strauss, Richard e Johann, avvolgono tutto come di calma e di fiducia, di una leggerezza e di una eleganza infinita, coi loro Così parlò Zarathustra e Sul bel Danubio blu. Fino alla stanza rococò del finale, dopo un volare senza controllo tra forme e colori sconosciuti e abbaglianti, fino al feto che galleggia nell’universo e guarda la Terra.

Prima che lavorare sul significato di queste immagini, come – e soprattutto – su quella del monolite nero che torna in ognuno dei tre capitoli, la cui prima comparsa consente all’ominide di trasformare un osso in arma, conviene lasciarsi rapire da tanto magnifico guardare. Del resto, di parole non ce ne sono molte in 2001: nemmeno 40 minuti sulle quasi due ore e mezzo di film sono riempiti di dialoghi. Ma il cinema, si sa, è arte soprattutto delle immagini, è dialogo tra loro, e raccontare con due sole inquadrature l’enormità del cammino evolutivo umano, che dalla primitiva scoperta dell’intelligenza – e insieme anche dell’aggressività e della violenza – lo porta nello spazio, ovvero il famoso osso lanciato in aria che diventa astronave oltre l’atmosfera, tutto questo è super storia del cinema, è suo acme, suo cult, sua crema e pilastro, sua vetta ed eterna lezione.

È sintesi perfetta di cosa la settima arte sia, e già per questo 2001 è “il” film. Che poi abbia saputo rivoluzionare la fantascienza per immagini, nobilitandola di temi filosofici, è molto altro: è aggiunta di valore e strada verso il capolavoro, come definì George Lucas la pellicola di Kubrick. Lui, uno dei successivi grandi maestri di fantascienza al cinema, considera 2001 tra i suoi film preferiti: «Tutto è scientificamente esatto – commenta l’autore di Guerre stellari – immaginato partendo dal possibile. È veramente l’apice della fantascienza».

È un film visionario, certamente, quello di Kubrick, eppure è ragionatissimo e studiato, con una sorta di realismo futuribile sottobraccio a una sconfinata fantasia creativa. È sperimentazione in una produzione molto costosa, è creatura enigmatica, metafisica ma ricchissima di spunti su cui riflettere.

Non ha un vero centro, è come un grappolo che tiene insieme molti temi: una riflessione sul rapporto tra sviluppo umano e violenza, una sull’intelligenza artificiale, attraverso Hal 9000, il computer che imita gli umani fino a lavorare in modo perfetto, salvo poi non gestire un errore di programmazione – proprio umano, Hal 9000 non sa mentire – e mandare all’aria tutto.

Ma ci sta anche, e soprattutto, un tema che ha a che fare proprio col monolite nero, il parallelepipedo che per la prima volta compare nel nulla africano di 4 milioni di anni fa, e poi sulla Luna nel 1998, e poi ancora, nel finale, in prossimità di Giove e nella stanza rococò. Rappresenta l’esistenza di qualcosa che sta oltre noi umani e che decide i nostri passi evolutivi, come ogni cosa di noi. Potremmo chiamarla in tanti modi, ma di più non è dato sapere, perché 2001 è un film di quesiti, non di certezze, è un viaggio da godere e poi da condividere, volendo, gustosamente con gli altri. Oggi come cinquant’anni fa tutto ancora regge, fantasticamente, classicamente. E allora perché no, una bella visione in sala, cogliendo l’occasione di questo compleanno e di questo prezioso restauro?

 

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