194 all’esame dei fatti

Il 22 maggio di questo anno si è ricordato il 25° anniversario dell’approvazione della Legge 194 che in Italia ha depenalizzato il reato di interruzione volontaria della gravidanza nei primi tre mesi. Un ricordo non ancora metabolizzato del tutto, a giudicare dai toni con cui gli organi di stampa ne hanno parlato. Però ci sono delle verità che non si possono tacere. Ci sembra perciò opportuno e legittimo fare un minimo di verifica per capire come è andata in questi 25 anni di 194, come questa legge è stata applicata e le conseguenze che ne sono derivate. Ma ad un primo giro di indagine in proposito si constata una diffusa ignoranza, sia sulla legge in sé stessa, sia sul come viene applicata. Direi un’indifferenza, pericolosa più di una campagna a favore di come stanno andando le cose. Le statistiche, nello stretto ambito degli addetti ai lavori, parlano infatti di cifre alte di aborti, ma nessuno lo sa né si chiede quale sia la causa. I media tacciono in proposito, specie sui risultati più scottanti e parimenti sulle iniziative intese a correggere modi e tempi sbagliati. Basta a tal proposito accennare ad una sola di queste iniziative ignorate, per rendersi conto di una omertà colpevole che occorre eliminare. Ecco l’accaduto: il 6 novembre del 2002 il Movimento per la vita ha pubblicato e inviato al Parlamento italiano un dossier intitolato V rapporto sulla prevenzione dell’aborto volontario nel quale si documentano 25 anni di volontariato a favore della vita, una esperienza fortemente positiva fatta parallelamente ai consultori pubblici ma con risultati ben diversi. Nel dossier viene infatti documentata l’azione silenziosa e concreta dei 260 Centri di aiuto alla vita, sparsi in tutta Italia, nei quali centinaia di donne, in crisi per una gravidanza difficile o non desiderata, hanno trovato comprensione e appoggio, pur nella libertà di scelta, e si sono realizzate come madri. Sono nati così ben 55 mila bambini destinati altrimenti a non vivere. Di questo documento tanto importante stampa e televisione hanno taciuto, ad eccezione del quotidiano Avvenire e di un articolo di Sandro Magister su Espresso, che riassume in modo eccellente il contenuto del dossier, definendolo “rivoluzionario ” e sottolineando che esso non contesta la 194 ma insiste perché venga applicata per intero e nelle sue clausole abitualmente trascurate: quelle finalizzate a rimuovere gli ostacoli che inducono ad abortire. Il dossier mostra che è possibile, oltre che doverosa, e spesso efficace, l’attività di prevenzione prevista da questa legge e continuamente disattesa, laddove lo stesso suo titolo – Tutela sociale della maternità – deve far ritenere che essa esprime una preferenza per la nascita, piuttosto che per l’aborto. Inoltre si evidenziano quegli articoli che parlano dell’intervento del consultorio pubblico finalizzato a “far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza”, e dell’azione, sempre obbligatoria, del medico del consultorio che deve “attuare o proporre all’ente locale competente, o ad altre strutture sociali, speciali interventi quando vi sono problemi per i quali quelli normali risultino inadeguati”. Si evidenzia inoltre che il consultorio pubblico deve realizzare un collegamento di “rete” con le strutture di volontariato che “possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita”, e che sempre il medico del consultorio è tenuto, non solo ad esaminare, con la madre, le possibili soluzioni dei problemi proposti ma anche aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero all’interruzione della gravidanza, offrendole tutti gli aiuti necessari, sia durante che dopo il parto. C’è veramente da restare esterrefatti” Sono queste le norme che, nel maggior numero dei casi, vengono ignorate e inapplicate: così i consultori sono miseramente ridotti a uffici dove si rilascia, a richiesta, licenza di uccidere. Perché se è vero che la legge concede la libertà di abortire, a certe condizioni precise, non toglie il diritto di non abortire e di ricevere l’aiuto per non farlo. Dov’è l’applicazione integrale di questa legge? Come si può rompere questa omertà impunita? Occorre che tutti sappiano, che sia coinvolta l’opinione pubblica finora così tiepida e indifferente, e risvegliate le coscienze! A questo proposito segnala un’iniziativa importante della Commissione consiliare politiche familiari e pari opportunità che ha presentato di recente, a Roma, una proposta di legge regionale – Norme sui consultori familiari intesa ad una riforma dei consultori familiari, perché si pongano, concretamente e seriamente, al servizio della madre, del figlio concepito, della coppia, della famiglia e che del loro lavoro diano periodica relazione. Questa proposta vuole essere un segnale forte anche sul piano nazionale e quindi parlamentare, nel campo del compito attribuito dalla 194 ai consultori, perché operino almeno secondo la legge. Si tratta di comportamenti fondanti, di civiltà e di diritti sacrosanti da salvare.

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