La corsa mondiale ai minerali critici e il ruolo dell’Australia

I minerali critici sono sempre più richiesti e necessari nella tecnologia delle telecomunicazioni e dei trasporti, nell’informatica, nello spazio e nella difesa. La corsa per accedere ad essi sta portando ad un’intensificazione del “nazionalismo delle risorse”, e forti tensioni geopolitiche sulle catene di approvvigionamento, specialmente da parte di Ue, Usa, Cina e Giappone.
L’Australia gioca un ruolo strategico in tutto ciò, giacché possiede alcuni dei più grandi giacimenti di questi minerali. È il più grande esportatore di litio al mondo (circa la metà del grezzo mondiale), al terzo posto per il cobalto e al quarto per gli elementi delle terre rare (Ree, Rare Earth Elements). Ma è ancora debole nella raffinazione, settore dove regna la Cina, che ha utilizzato molto spesso le restrizioni e i divieti all’esportazione come strumento geopolitico.
Mentre gli Stati Uniti di Trump ricalibrano le loro politiche industriali con la “guerra delle tariffe” e dei dazi, l’Australia non ha mai avuto un ruolo così importante per garantire catene di approvvigionamento non cinesi per i minerali critici. L’approccio australiano, spesso di conciliazione tra gli Stati, potrebbe contribuire a non dipendere dagli umori delle grandi potenze, anche sviluppando meglio lavorazione e raffinazione.
Il mercato è ancora instabile, spesso con drastici cali dei prezzi per eccesso di offerta. Per questo motivo, da tempo le imprese dei Paesi sviluppati chiedono ai governi di sostenere un prezzo di mercato basato sulla valutazione dei fattori ambientali, sociali e di governance (Esg, Environmental, Social, Governance). Tuttavia, la “G” più urgente oggi non è la governance, ma la geopolitica.
I minerali critici rappresentano un mercato molto appetibile. Consente di guadagnare enormi somme di denaro ancora prima di iniziare l’estrazione. Poi, per timore di esaurire le risorse, si continua l’esplorazione e l’estrazione, e si pensa poco a utilizzare al meglio ciò che viene estratto, raffinato, scartato. Senza parlare di riduzione, riutilizzo o riciclaggio.
In Australia, la maggior parte di questi minerali si trova in terre indigene o comunque in terre nelle quali i proprietari tradizionali hanno il diritto di negoziare. Questo non è importante solo per la giustizia sociale di queste popolazioni o per la perdita di beni culturali, ma anche perché si tratta di un’attività mineraria sporca, con rifiuti pericolosi e impatti significativi sull’acqua dolce. L’inquinamento e la perdita di biodiversità spingono al collasso l’ecosistema.
Da una parte, il dibattito sul potenziale di distruzione e devastazione in corso pone con urgenza la questione se il passaggio alle energie verdi debba avvenire a tutti i costi o se debbano esistere delle “no-go zones” dove sia interdetta l’estrazione. Dall’altra parte, storicamente le Prime Nazioni australiane (gli aborigeni) non hanno ricevuto un compenso equo o la condivisione dei benefici quando gli investitori hanno trovato risorse nei loro territori.
Le comunità indigene più remote e svantaggiate sono sotto pressione. La rapida crescita degli investimenti nel settore dei minerali critici ha bisogno di importanti cambiamenti nelle politiche interne. C’è il rischio che i problemi sociali, economici e di governance esistenti possano non solo persistere ma peggiorare. Il governo federale stanzia miliardi di dollari e incentivi fiscali per sostenere il settore dei minerali critici, ma praticamente nulla per aiutare le comunità locali dove si trovano i giacimenti. E anche se l’Australia si vanta di avere una serie forte di regolamenti per gli impatti ambientali, tuttavia le normative per l’impatto sociale non sono così forti come quelle per l’ambiente.
Ci sono però tentativi positivi di dialogo tra le parti interessate: governo statale e federale, sindacati, gruppi ambientalisti e associazioni industriali, per promuovere un equilibrio tra sostenibilità, giustizia ed energia rinnovabile.
L’industria mineraria è la spina dorsale dell’economia australiana. E quella dei minerali critici, è sicuramente il futuro. C’è dunque un duplice cammino da percorrere in Australia. Non c’è dubbio che si debba continuare a costruire una cooperazione internazionale che offra alternative alla dipendenza dalla Cina in questo settore. Ma senza affrontare l’impatto sociale e le disuguaglianze non è possibile andare avanti. Bisogna fare sedere al tavolo delle trattative anche le popolazioni indigene.