I segni di un pontificato

«È stato un Papa in mezzo alla gente con cuore aperto verso tutti. […] Papa Francesco ha realmente condiviso le ansie, le sofferenze e le speranze del nostro tempo della globalizzazione, e si è donato nel confortare e incoraggiare con un messaggio capace di raggiungere il cuore delle persone in modo diretto e immediato». Così lo ha descritto il cardinale Re nell’omelia della S. Messa nel giorno delle esequie, a cui il mondo intero ha partecipato.
In Piazza San Pietro, tra fedeli e capi di Stato, ci sono moltissimi giovani giunti a Roma per partecipare al loro Giubileo; ma anche tanti che stamattina si sono svegliati prima dell’alba per venire a salutare Francesco, il papa che ha insegnato loro a camminare insieme, a vivere relazioni profonde, vere, ad essere costruttori di pace, protagonisti e non spettatori del futuro, affinché «la nostra casa comune diventi un luogo di fraternità».
Poi, al termine della S. Messa, una lunga, ininterrotta fila di persone accompagna Francesco lungo il percorso fino a S. Maria Maggiore, dove ha scelto di essere sepolto. La città sembra immobile: le circa 400mila persone previste per questa giornata attendono, in gruppi ordinati, il passaggio della papamobile. A comunicare sono le immagini televisive: parlano di un popolo partecipe e commosso, che questo ultimo saluto al papa dell’accoglienza e dell’ascolto lo porterà sempre nel cuore, mentre i commenti delle persone intervistate ci restituiscono una fede viva, una speranza certa nella vita eterna.
Si arriva a Santa Maria Maggiore. Sulla cassa di legno in cui è stato deposto papa Francesco, ai piedi di una grande croce, è raffigurato il simbolo dei gesuiti, segno della spiritualità ignaziana scelta e vissuta fino in fondo: essere Compagni di Gesù, cioè suoi amici, sentire l’urgenza di raggiungere coloro che sono emarginati, guardare il mondo dalla prospettiva di chi è più povero, dalle “periferie esistenziali”. La persona umana con la sua dignità troppo spesso calpestata: questa l’impronta del suo pontificato.
Coloro che nel mondo sono considerati “gli ultimi”, sono stati invece i primi nel cuore di Francesco, l’attenzione alla loro vita al centro del suo magistero. Sono proprio loro ad accoglierlo sul sagrato della basilica mariana con una rosa bianca in mano. Un commiato sentito e colmo di emozione.
Prima di entrare, la bara viene rivolta verso la folla per un ultimo ideale saluto. La piccola processione che accompagna Francesco è guidata dai frati Domenicani, che a Santa Maria Maggiore compongono il Collegio Apostolico dei Penitenzieri esercitando il ministero della riconciliazione. Proprio ai confessori il pontefice si era spesso rivolto ricordando di incarnare «tre aspetti di Dio: vicinanza, misericordia e compassione», di annunciare la Sua misericordia che è l’«unica medicina da versare sulle piaghe dei fratelli». Alla misericordia divina, ricevuta in un momento particolare della sua vita, egli stesso aveva fatto riferimento nel motto impresso sul suo stemma, «miserando atque eligendo».
Dopo l’ingresso a Santa Maria Maggiore, alcuni bambini vanno a deporre due cestini di rose bianche davanti all’immagine di Maria, Salus Populi Romani, dove il papa era solito recarsi per pregare, per parlare con la Madre, da cuore a cuore.
Gesti che raccontano una vita spesa per la Chiesa e per il mondo, che compongono un itinerario evangelico che ciascuno è invitato a percorrere, una memoria che siamo chiamati a mantenere viva. Proprio oggi Padre Gabriel Romanelli, parroco della chiesa della Sacra Famiglia a Gaza, in una dichiarazione a Rai News, ha raccontato: «Da oggi ogni giorno alle ore 20 (le 19 in Italia) faremo rintoccare le campane della nostra chiesa per ricordare l’ora del Papa. Ogni sera ci chiamava alle 20 per farci sentire le sue parole, il suo sostegno, la sua preghiera, la sua benedizione. Preghiamo per lui per tutta la Chiesa e per la pace».