Detenuti: un posto speciale nel cuore di Francesco

Dall’inizio del suo pontificato e fino alla fine, Bergoglio ha compiuto gesti importanti nei confronti delle persone private della libertà. Un lascito importante, rimasto finora ampiamente inascoltato.
Papa Francesco celebra la Messa "in coena Domini" e il rito della lavanda dei piedi il Giovedì Santo presso il carcere femminile di Rebibbia a Roma, Italia, 28 marzo 2024. ANSA/VATICAN MEDIA

Fra i tanti che vantavano un posto privilegiato nel grande cuore di papa Francesco c’erano e ci sono anche loro: i detenuti. Bergoglio, divenuto Francesco, aveva sin da subito voluto incontrarli, anzi, diremmo di più, esprimere verso di loro un amore concreto. Il suo primo giovedì santo da vescovo di Roma appena eletto, come amò definirsi, volle recarsi presso il carcere minorile di Casal del Marmo e fare lì la lavanda dei piedi ai giovani ospiti del carcere minorile.

Il mondo ancora non conosceva i tanti gesti inediti cui ci si sarebbe poi “abituati” (si fa per dire) tanto da farne, in questi giorni, album pieni di foto. Non solo un papa che lava i piedi ai detenuti, ma fra loro anche due ragazze e non tutti di fede cattolica. «Lavare i piedi significa che dobbiamo aiutarci l’uno con l’altro – aveva detto –. È mio dovere come prete e come vescovo essere al vostro servizio. Ma è un dovere che mi viene dal cuore. Amo farlo perché il Signore così mi ha insegnato». E aveva aggiunto: «Non lasciatevi rubare la speranza».

A Casal del Marmo papa Francesco tornò nel 2023, ma negli anni del suo pontificato il giovedì santo non mancò mai (a parte nell’anno della pandemia) di recarsi ancora presso altri istituti penitenziari, come a Rebibbia, Regina Coeli, Paliano, Civitavecchia.

Altro inedito: l’apertura di una porta santa in un carcere. È quanto avvenuto all’inizio del Giubileo in corso che ha visto papa Francesco recarsi a Rebibbia e aprire lì una delle porte sante di quest’anno dedicato alla speranza. «Nell’Anno giubilare saremo chiamati ad essere segni tangibili di speranza per tanti fratelli e sorelle che vivono in condizioni di disagio – aveva scritto Francesco –. Penso ai detenuti che, privi della libertà, sperimentano ogni giorno, oltre alla durezza della reclusione, il vuoto affettivo, le restrizioni imposte e, in non pochi casi, la mancanza di rispetto».

Grazie a questo, a Rebibbia due volte al mese circa cinquanta persone entrano in carcere per celebrare la messa insieme ai detenuti all’interno di un percorso che prevede una preparazione sulla realtà del carcere, a cura dei sacerdoti, delle suore, dei volontari, degli stessi detenuti e un successivo incontro sul senso dell’evento vissuto. Perché tutto abbia poi un seguito e un impegno verso questa realtà.

Papa Francesco aveva avanzato proposte concrete: «Propongo ai Governi che nell’anno del Giubileo si assumano iniziative che restituiscano speranza; forme di amnistia o di condono della pena volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in sé stesse e nella società; percorsi di reinserimento nella comunità a cui corrisponda un concreto impegno nell’osservanza delle leggi». Proposte, purtroppo, al momento cadute nel vuoto.

A sigillare la vicinanza privilegiata di Francesco ai detenuti, uno degli ultimi suoi atti: la visita ai detenuti di Regina Coeli il giovedì santo scorso, appena quattro giorni prima di lasciarci.

«È l’immagine che riassume il rapporto tra il papa e il mondo penitenziario – commenta monsignor Benoni Ambarus, delegato del Vaticano per le carceri –. Pochi giorni fa era a Regina Coeli. Ricordo un uomo stanco, che si trascinava, ma urlava con la sua presenza il bisogno di attenzione ai detenuti. Si è trascinato per loro, fino all’ultimo respiro. Per questo i carcerati in lui vedevano la speranza. Per loro è morto un padre, è il senso della lettera che mi hanno affidato».

Il delegato Vaticano commenta però amareggiato: «Le parole, i gesti enormi che ha fatto, le lavande dei piedi, il giovedì santo, gli appelli sono stati raccolti poco e tradotti ancor meno in azioni pratiche. Chiedeva di fare di più per ridare dignità alle persone. In occasione di questo Giubileo aveva chiesto uno sforzo. Ma non c’è stata una traduzione completa dei suoi appelli».

L’ultimo grande gesto l’ha fatto ancora una volta Francesco: ha voluto donare 200 mila euro dal suo conto personale per sostenere il pastificio del carcere minorile di Casal del Marmo, una realtà importante per dare un futuro ai giovani che lì scontano una pena.

E c’è chi nella grande macchina organizzativa dei funerali, insieme all’accoglienza delle delegazioni dei vari capi di Stato e dei pellegrini da tutto il mondo, si è adoperato per cercare di dare un posto a quegli “scartati” che Francesco ha amato con tutto sé stesso.

A Santa Maria Maggiore, ad accogliere il papa argentino nel viaggio verso la sua ultima dimora, ci saranno anche loro, i detenuti. Non poteva che essere così.

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