Alcuni leader europei si sono incontrati a Parigi, il 17 febbraio, su invito del presidente francese, Emmanuel Macron, per discutere della guerra in Ucraina, dopo gli annunci della scorsa settimana da parte del presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, dell’avvio di negoziati con la Russia. Il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, e il Segretario di Stato americano, Marco Rubio, si sono incontrati a Riad, in Arabia Saudita, martedì, per discutere di come porre fine alla guerra in Ucraina, senza la partecipazione dell’Unione europea (Ue), ma neppure dell’Ucraina.
Quella che alcuni hanno definito la Yalta del Golfo, richiamando la conferenza di Yalta del 1945 che sancì la spartizione dell’Europa in sere di influenza, rischia di portare ad una resa mascherata da pace imposta all’Ucraina e una spartizione in sfere di influenza tra Stati Uniti e Russia imposta all’Europa.
Quel che è certo è che l’assetto geopolitico uscito fuori dalla Seconda guerra mondiale sta cambiando repentinamente. Se Trump torna a dire “l’America agli americani” (leggasi “l’America agli Stati Uniti, passando per la Groenlandia”), di fatto (non) dice anche “l’Europa agli europei” (leggasi “l’Europa, fatti loro”)? E i “poveri europei”, smarriti come non mai, si trovano spiazzati dall’alleato a stelle e strisce, leader (senza più volerlo) del Patto Atlantico postbellico e di quell’alleanza militare difensiva (che talvolta è stata pure offensiva verso altri Paesi), l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (NATO), che è arrivata a raggruppare 31 Stati membri e lambire i confini dell’orso russo uscito dal letargo.
Il summit di emergenza, che poi, diciamoci la verità, tanto di emergenza non è, considerato che siamo in emergenza (leggasi guerra) da oltre due anni, ha rivelato (per l’ennesima volta) che il re è nudo. Anzi, sono 27 i re nudi, qualcuno più nudo dell’altro (leggasi i piccoli Stati membri dell’Ue non invitati a partecipare al vertice della baguette). Smarriti, indifesi, o meglio senza più le difese d’oltreoceano.
I leader del vecchio continente si sono riuniti in quello che essi stessi si sono affrettati a dire che non era un vertice, quanto piuttosto una riunione, forse un thè delle cinque, considerata la presenza, accanto a Francia, Italia, Spagna e Polonia, Paesi Bassi e Danimarca, del Regno Unito brexitaro, ormai fuori dall’Ue, ma sempre con un piede in Europa e uno sull’altra sponda dell’Atlantico.
Infatti, alcuni Stati dell’Europa centrale e orientale, quelli fatti entrare in fretta e furia nell’Ue, nel 2004, dopo la disgregazione ancora più frettolosa dell’Unione Sovietica, non hanno nascosto il loro disappunto. D’altronde, come nascondere qualcosa se si è nudi? C’è da dire che la decisione di non riunire un Consiglio europeo discende dalla volontà di evitare il rischio di veti da parte di leader antieuropeisti, come l’ungherese Viktor Orban e lo slovacco Robert Fico.
Eppure, Macron, parlando alla stampa locale, considera la Russia una minaccia esistenziale per l’Europa, citando come esempi i cyberattacchi, i tentativi di manipolazione elettorale, gli atti antisemiti gravissimi nel nostro Paese, le pressioni migratorie in Polonia.
Lo scopo del (non) vertice sulla Senna era quello di coordinare il sostegno europeo all’Ucraina, garantire la sicurezza del continente e rafforzare il ruolo dell’Europa all’interno della NATO. Ebbene, dopo una discussione di tre ore e mezza al palazzo dell’Eliseo, la risposta dei leader europei alla più grande sfida alla sicurezza degli ultimi decenni è alquanto deludente. La nudità è l’assenza di una politica di difesa europea, nonostante qualche foglia di fico messa negli ultimi anni dalla Commissione europea con qualche accenno di programma.
Al (non) vertice, erano presenti anche il segretario generale della NATO, Mark Rutte, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e il presidente del Consiglio europeo, António Costa, che aveva dichiarato, in occasione della conferenza di Monaco sulla sicurezza, che «per raggiungere tale pace, l’Unione europea assumerà pienamente le proprie responsabilità […]; non ci saranno negoziati credibili e fruttuosi e nessuna pace duratura senza l’Ucraina e senza l’Unione europea».
Ma davvero? Il nodo del contendere dei semi-leader europei è quello dell’invio di soldati in Ucraina a garanzia di una possibile futura tregua. Finora solo Francia e Regno Unito si sono mostrati favorevoli, con il primo ministro britannico, Keir Starmer, che si è detto pronto a svolgere un ruolo di primo piano nel fornire garanzie di sicurezza all’Ucraina, anche schierando i propri soldati sul terreno, se necessario.
Al contrario, Germania, Polonia e Spagna ritengono prematuro discuterne, mentre la premier italiana, Giorgia Meloni, ha manifestato i propri dubbi sull’impiego di militari sul terreno ucraino, giudicandola l’ipotesi più complessa e forse meno efficace.

La premier, Giorgia Meloni, con il presidente francese, Emmanuel Macron, all’Eliseo durante il vertice informale sull’Ucraina e la difesa europea, Parigi, 17 febbraio 2025. NPK ANSA / Filippo Attili – Palazzo Chigi
Macron, poi, ha smentito sé stesso. In un’intervista al quotidiano Le Parisien, egli ha assicurato che la Francia non si prepara a inviare truppe di terra belligeranti, quanto piuttosto esperti o truppe in termini limitati, fuori da qualsiasi zona di conflitto, per confortare gli ucraini e fornire loro solidarietà, paventando il coinvolgimento delle Nazioni Unite nella definizione di un’operazione di mantenimento della pace.
E poi arriva lui: Mario Draghi. Nel corso di un intervento al Parlamento europeo per la settimana parlamentare 2025, che raggruppa sia europarlamentari che deputati e senatori degli Stati membri, egli ha messo a nudo l’Europa già nuda: «Se le recenti dichiarazioni delineano il nostro futuro, possiamo aspettarci di essere lasciati in gran parte soli a garantire la sicurezza in Ucraina e nella stessa Europa». Egli ritiene che possiamo ancora «riacquistare la capacità di difendere i nostri interessi [e] dare speranza alla nostra gente».
In questo momento, «i governi nazionali e i Parlamenti del nostro continente, la Commissione europea e il parlamento sono chiamati a essere i custodi di questa speranza in un momento di svolta nella storia dell’Europa, [ma], se uniti, saremo all’altezza della sfida e avremo successo».
__