Stop a Recovery Plan e bilancio UE: veto di Polonia e Ungheria

Durante la riunione degli ambasciatori dei 27 Stati membri, i rappresentanti di Ungheria e Polonia hanno messo il veto su bilancio europeo e sul Recovery Fund. La questione passa al Consiglio europeo.

Nuova crisi nella governance europea. Lo scorso 16 novembre, durante una riunione del Coreper, il comitato che riunisce i rappresentanti permanenti dei 27 Stati membri dell’Unione europea (UE), convocato dalla presidenza di turno tedesca per esprimere l’assenso politico agli accordi preliminari raggiunti dai negoziatori del Parlamento europeo e del Consiglio dell’UE sul bilancio dell’UE per il periodo 2021-2027 e sulle risorse proprie, l’Ungheria e la Polonia hanno espresso il proprio veto, bloccando la decisione che richiede l’unanimità.

Si tratta di un pacchetto da oltre 1.800 miliardi di euro che, oltre al bilancio pluriennale dell’UE, comprende anche l’avvio della procedura scritta sulle risorse proprie, che autorizza la Commissione europea a indebitarsi sui mercati per finanziarie il Next Generation EU da 750 miliardi di euro, il cosiddetto Recovery Fund. Il tutto sarebbe però condizionato al cosiddetto stato di diritto, cioè il rispetto di quelle norme che garantiscono l’esercizio della democrazia, i diritti fondamentali, la giustizia, ecc.

È noto che proprio la Polonia e l’Ungheria hanno ristretto le libertà democratiche nel corso degli ultimi anni, sotto la guida dei rispettivi governi di Mateusz Morawiecki e Viktor Orban, con una serie di riforme considerate illiberali. Orbene, l’erogazione dei fondi europei è condizionata, giustamente, al rispetto dello stato di diritto. Per la precisione, il veto si applicherebbe solamente sul quadro finanziario pluriennale e sulle risorse proprie.

Il tema è particolarmente delicato, come evidenziato da Michael Roth, ministro degli Affari europei tedesco e presidente di turno del Consiglio dell’UE: «Chiedo a tutti, nell’UE, di essere responsabili, non è tempo di veti, ma di agire velocemente ed in uno spirito di solidarietà. In caso di blocco, gli europei pagherebbero un prezzo alto. Restiamo impegnati a risolvere le questioni pendenti al più presto». La questione è molto importante per l’Italia, che necessita dei fondi assegnatile con il Recovery Fund che, secondo le previsioni, non arriverebbero comunque prima della prossima estate.

Il Consiglio europeo di giovedì 19 novembre, originariamente convocato per discutere delle questioni inerenti all’emergenza Covid-19, dovrà invece trovare un modo per dirimere la controversia. È improbabile l’eliminazione del riferimento allo stato di diritto, come sembra difficile che Ungheria e Polonia ritornino semplicemente  sui loro passi.

La questione potrebbe risolversi scorporando il Recovery Fund dal pacchetto, così da farlo uscire dal campo di applicazione del veto. In questo modo l’Ungheria e la Polonia, se non volessero accettarlo, potrebbero restarne escluse. Questo sarebbe comunque controproducente per le due nazioni ma, soprattutto, per Orban che deve affrontare le elezioni politiche nel 2022, come il suo omologo polacco, e che, come tutti, necessità dei fondi europei per rilanciare l’economia del suo Paese colpito duramente dalla crisi scaturita dalla pandemia di coronavirus.

L’Ungheria è di fatto isolata in Europa, il fiorino ungherese è in caduta libera e la Germania, le cui aziende sono fortemente presenti in Ungheria, non mancherà di esercitare le opportune pressioni per condurre Orban (e Morawiecki) a cambiare parere.

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