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Sistema dell’azzardo come caso politico

di Carlo Cefaloni

- Fonte: Città Nuova

Carlo Cefaloni

Perché l’Italia è diventata, in pochi anni, un casinò diffuso con un’offerta incentiva e ramificata sul territorio? L’azzardo di massa è un caso esemplare per capire i rapporti di forza esistenti nel nostro Paese e il consumo critico rappresenta il primo passo per poterli affrontare. Ecco perché lo Slot Mob non è un’innocua attività da “bravi ragazzi”

Azzardo e società. Foto Max D’Alessandro

Azzardo e politica. La diffusione e incentivazione dell’azzardo in Italia è un fenomeno indotto dall’interesse di grandi gruppi economici che hanno trovato la politica impreparata, alleata a sua insaputa oppure apertamente collusa.
È difficile oggi, che la raccolta complessiva del settore ha sfondato il tetto dei 100 miliardi di euro, impostare correttamente una vera analisi della questione senza essere trascinati a parlare di “ludopatie” e dei soliti “casi pietosi” dei “dipendenti patologici del gioco”. Una vera e propria trappola semantica dove si usano termini impropri (il “gioco”, il “ludo”) quando si parla di azzardo.

Secondo il mantra di certo giornalismo banalizzante, bisogna dire qualcosa che “capisca mia madre” e così la tv si riempie di volti lacrimanti e testimonianze toccanti, strappa applausi, di chi, forse, si è liberato dalla dipendenza, magari grazie alla famiglia che non è stata travolta dal dissesto. Ma tutto ciò, troppo spesso, è un vero ostacolo per chi vuole entrare nel cuore del sistema e rendersi conto che la vera preoccupante patologia è quella di uno Stato che non riesce a fare a meno dei 10 miliardi all’anno di entrate erariali assicurate dal complesso del “casinò Italia”.

Nel recente passato diversi amministratori locali si erano riproposti di aprire sul territorio dei nuovi templi dell’azzardo come attrattiva di denaro fresco da riversare a cascata secondo modelli che non hanno mai avuto fondamento. Il progetto “Waterfront” sul litorale romano aveva come cardine la valorizzazione delle periferie tramite l’offerta del divertimento con piste da sci coperte come a Dubai e mega sale da roulette come a Monte Carlo. Lo stesso presidente del Consiglio Berlusconi non aveva trovato meglio che promettere un casinò nell’isola di Lampedusa per ripagarla dal fatto di essere in prima linea come approdo della marea di migranti in fuga dal Sud del mondo.

L’Italia è la sede di un casinò diffuso in una miriade di terminali accessibili a tutti. Come si riporta vittoriosamente sul sito Astro del sistema Confindustria, «Le entrate tributarie derivanti dal settore dei giochi riscontra infatti un andamento positivo che ammontano, nel primo trimestre del 2018, a 3.719 milioni di euro con una variazione positiva di 267 milioni di euro (+7,7%), rispetto allo stesso periodo dello scorso anno». Ovviamente il “settore dei giochi”, per restare nell’antilingua di stampo orwelliano, riguarda l’offerta dell’azzardo gestito dall’insieme della filiera controllata da 13 grandi concessionari dello Stato. Si tratta ad esempio di multinazionali come la spagnola Codere che a poca distanza dalla basilica di San Giovanni in Laterano, ha aperto la più grande sala bingo d’Europa ponendo al suo ingresso un grande simbolo della Repubblica italiana con il numero della concessione.

La società ha tanto di codice etico e programma di formazione per gli operatori secondo il modello sperimentato delle imprese socialmente responsabili. Ancor di più si può dire per il colosso Lottomatica, di proprietà dello storico gruppo De Agostini, che si mostra attenta a finanziare, ad esempio, tramite il Comitato olimpico nazionale, campi da gioco( vero stavolta) nelle periferie, con tanto di bimbi festanti, esibiti come testimonial della loro beneficienza. Sono imprese legali che svolgono attività di carattere pubblico e che amministrano grandi flussi di denaro, investono in tutto il mondo, in settori diversificati , come ad esempio per Lottomatica, il mercato dei crediti deteriorati o npl.

Il “convitato di pietra”

Per poter valutare il ruolo di un’azione politica capace di far valere le ragioni del bene comune, bisogna prendere le misure del “convitato di pietra” che è ben assiso al centro della nostra società e cioè il “Sistema Gioco Italia”, : «la Federazione di filiera dell’industria del gioco e dell’intrattenimento nata a febbraio 2012 nell’ambito di Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici con l’obiettivo di rappresentare gli interessi trasversali del settore ed elaborare strategie e proposte unitarie in particolare in merito a politiche fiscali, tutela della legalità, tutela dell’occupazione e delle risorse umane, innovazione tecnologica, comunicazione». Secondo calcoli interni a tale organizzazione, le imprese sarebbero 6 mila, con 150 mila persone addette “in via diretta e indiretta” e 120 mila punti vendita. Prendendo a riferimento l’anno 2016, il sito di Confindustria, mette in linea gli attori della partita: 96 miliardi di euro raccolti, 77 tornati indietro agli utenti, 9 miliardi alle casse erariali e 10 alle imprese nel loro complesso.

Per poter ottenere questi risultati il mercato ha bisogno di essere continuamente sollecitato con nuove offerte di vincita immediata, estrazione ogni ora, in una dimensione parossistica dove il volume delle “vincite” dei 77 miliardi comprende sia il premio straordinario idolatrato dai media che una marea di tentativi continuamente rinnovati per approssimazione. Più che di vittorie, si tratta di sistemi di fidelizzazione basilari che si sperimentano su una umanità ferita e incerta del nostro tempo, tentata dall’azzardo come ultima istanza per una svolta possibile, finanziaria e non solo.

Una regressione della politica sociale

Il senso di quanto sta avvenendo lo ha colto lo storico Tony Judt in “Novecento”, libro conversazione, uscito postumo nel 2012, con Timothy Schneider, come una regressione della politica sociale: La diffusione legalizzata e incentivata dell’azzardo è «un sistema di prelievo fiscale indiretto, regressivo e selettivo. Fondamentalmente si incoraggiano i poveri a spendere denaro nella speranza di raggiungere la ricchezza, mente i ricchi, anche se dovessero scegliere di spendere la stessa somma in denaro, non ne sentirebbero la mancanza». Judt riconosce che «i divieti assoluti possono avere effetti perversi» ma osserva che «una cosa è riconoscere l’imperfezione umana, tutt’altra cosa è sfruttarla impietosamente come sostituto delle politiche sociali».

Ma alla fine quel denaro che arriva al fisco entra nel calderone di un bilancio pubblico in perenne difficoltà tra parametri di austerità e il peso di un debito che appare inestinguibile, mentre i grandi gruppi finanziari possono decidere dove spostare i loro capitali alla ricerca del maggior profitto. “Il modo è guasto” per ripetere sempre Judt nel percepire che l’imposizione di una globalizzazione della diseguaglianza comporta la perdita di ogni orizzonte di fraternità possibile e quindi il venir meno di ogni agire politico che non sia l’accettazione tecnocratica della realtà.

Un potere che si presenta come assoluto

Lasciar credere che non ci sia altro modello di gestione dell’azzardo di quello imposto in via surrettizia in Italia negli ultimi 20 anni è evidentemente uno degli effetti del disincanto diffuso dopo l’età delle grandi illusioni utopiche di cambiare il mondo, a cominciare da quel grande “esperimento profano dell’uomo nuovo” che è stato il comunismo.

Davanti ad un assetto di potere troppo forte da poter intaccare, ci si rifugia dolorosamente nella cura delle vittime del sistema. Di qui l’approccio, in questo caso, sulle persone in preda all’ossessione dell’azzardo. I numeri che si citano, tuttavia, (800 mila persone secondo certe stime o il 2/3 % della popolazione secondo l’Organizzazione mondiale della sanità) sono contestati da fonti confindustriali che parlano di procurato allarme e comunque di una complessità di patologie che magari hanno una doppia diagnosi e palesano una fragilità che comunque avrebbe trovato il modo di procurarsi del danno.

D’altra parte il limitarsi, come fanno alcune leggi regionali, a dotarsi di presidi di cura contro questa nuova dipendenza, mette in evidenza la difficolta ad intercettare l’area di un disagio che ha bisogno di forti reti familiari e comunitarie per essere incanalato verso la cura. Legami che si rivelano troppo spesso assenti o incapaci di approcciarsi con un servizio sanitario pubblico in crisi di risorse. Il sistema delle imprese, inoltre, può godere di una certa ideologia che agita il tema del proibizionismo come un tabù. Assimilando la “nuova dipendenza non da sostanza” alle altre droghe ritiene che ogni divieto assoluto finisca per moltiplicare una domanda intercetta dalla malavita organizzata.

Meglio, quindi, secondo tale prospettiva, la somministrazione controllata da aziende specializzate convenzionate con lo Stato in un quadro di legalità che si rivela conveniente per le entrate fiscali. In realtà abbiamo assistito, in Italia, ad una sovrapproduzione di offerta che non assomiglia affatto ad una legalizzazione ma ad una incentivazione senza fine. “L’azzardo è il bancomat delle mafie”, come afferma il capo della Polizia Franco Gabrielli e come certificano,ogni anno, le relazioni della Direzione nazionale antimafia.

La cosiddetta legalizzazione non ha affatto espulso il malaffare come illustra il dossier “Gioco sporco, sporco gioco. L’azzardo secondo le mafie”, promosso dal Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (Cnca) e curato da Filippo Torrigiani, consulente della Commissione Parlamentare Antimafia: «Per troppo tempo infatti si era erroneamente creduto che se lo Stato avesse ampliato, controllato e gestito l’offerta del gioco lecito, si sarebbe contrastata la presenza dell’illegalità, sino a rendere il mercato del gioco improduttivo per la stessa. Il corso degli eventi, invece, ha sancito ben altro. I tentacoli dell’illegalità prosperano benissimo su un binario “parallelo” e con un giro di affari difficilmente quantificabile; la realtà incontrovertibile evidenzia come, a fronte di una maggiore offerta del “gioco legale” sia più semplice per i clan malavitosi trarre profitti attraverso pratiche di usura, riciclaggio, estorsione, imposizione».

La svolta necessaria

L’approccio modernamente “liberal” si rivela, così, funzionale a mantenere certi interessi e profitti. Come afferma Mauro Vanetti del collettivo senza slot di Pavia in un’intervista a cittanuova.it «L’attuale assetto è stato studiato a tavolino e realizzato da una sinergia tra legislatori, governanti, finanziatori privati e imprenditori. Lo Stato cercava fonti di finanziamento che permettessero di sequestrare denaro alla massa più povera della popolazione senza suscitare opposizione politica e sociale che avrebbe incontrato con una elevata tassazione regressiva».

L’opposizione contro l’invasione dell’azzardo ha visto coagularsi diverse reti di cittadinanza così come avviene davanti ad un’attività inquinante che tutti possono vedere e toccare. Il primo obiettivo è stato quello di produrre una normativa degli enti locali, dalle Regioni ai Comuni, capace di porre un freno alla mancanza di regole indotta da una normativa nazionale che ha promosso l’offerta incontrollata dell’azzardo. Ma è evidente che la forza di un movimento di persone che trova la forza di ribellarsi al potere del denaro non può essere ingabbiata dentro l’obiettivo di ottenere un regolamento comunale capace di resistere agli attacchi dei legali delle multinazionali davanti alla magistratura amministrativa. Il vero obiettivo è quello di sottrarre l’intero settore dell’azzardo alle imprese strutturalmente orientate al profitto. Gestire l’offerta in modo non ossessivo e incentivante fino a ridurre un fenomeno che è capace di divorare territori e una sana e reale economia che crea ricchezza da redistribuire tra tutti.

Non è un obiettivo impossibile ma crea la necessità di trovare altre entrate fiscali diverse da quelle dell’azzardo, la qual cosa induce un dibattito più ampio sulle scelte di politica economica e sociale. Senza tale svolta radicale, tutta l’attenzione sul fenomeno dell’azzardo rischia di ridursi in una istanza moralistica destinata ad estinguersi. Ci troviamo davanti ad un caso esemplare per capire i rapporti di forza esistenti nel nostro Paese e la possibilità reale di capovolgerli.

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