In India la pandemia sembra allentare la morsa, soprattutto nelle metropoli, mentre resta molto critica la situazione nelle aree rurali. In questo contesto si torna a parlare di ‘love jihad’, la jihad dell’amore. Si tratta del neologismo che sta ad indicare il fenomeno delle conversioni (soprattutto all’islam ma anche al cristianesimo) per via dei matrimoni misti. Da vari anni l’argomento tiene banco e si è associato sempre più, soprattutto con il governo di Narendra Modi, con le leggi anti-conversioni proposte in alcuni dei parlamenti statali e, in alcuni casi, approvate.
A far notizia sono ora il Gujarat, lo stato a nord di Mumbai che ha dato i natali a Gandhi, ed il Kerala, che si trova, invece sulla costa sud-occidentale del Paese. Nello stato del Gujarat, il contesto da cui proviene Modi, il 15 giugno scorso è entrata in vigore una nuova versione della locale legge anti-conversioni, che prende di mira soprattutto proprio il “love jihad”. La nuova normativa prevede che ogni conversione che avviene al fine di contrarre matrimonio con una persona di religione diversa è ora considerata forzata e, dunque, gli interessati, compresi i parenti stretti, saranno perseguibili a termini di legge.
La nuova normativa, come aveva insistito il vice premier locale Nitin Patel, che si oppone ai matrimoni d’amore, è fondamentale per “salvaguardare le ragazze e le donne indù” dal pericolo di doversi convertire ad altre tradizioni religiose. Da parte delle varie minoranze (musulmani e cristiani in particolare) si sostiene invece che è un grave atto discriminatorio contro la libertà di professare la propria religione e di libertà di culto. Già la precedente norma per prevenire la possibilità di convertire persone di altre fedi alla propria, prevedeva fino a tre anni di carcere e un’ammenda da 50 mila rupie per chiunque fosse accusato di aver convertito qualcuno con la forza.
La nuova legge stabilisce ora che chiunque aiuti una conversione in nome di un rapporto amoroso sia perseguibile e che qualsiasi matrimonio di questo tipo debba essere considerato nullo. È bene ricordare che in tutto il subcontinente indiano la stragrande maggioranza delle unioni matrimoniali avvengono ancora in base ad accordi fra le famiglie, sia pure con modalità diverse.
La questione è molto seria, come mostra il caso accaduto della città di Vadovara dove la polizia ha raccolto una denuncia a causa di un matrimonio che ha contravvenuto la nuova normativa, arrestando sei persone tra le quali cinque componenti di una stessa famiglia. Ovviamente il caso ha suscitato una reazione immediata da parte delle minoranze. Parlando all’agenzia cattolica AsiaNews, Sajan K George, presidente del Global Council of Indian Christians ha dichiarato che seguendo la nuova legge si finisce per “mettere nelle mani dei fondamentalisti indù una nuova arma per intimidire le minoranze e attaccarle impunemente”.
La legge e la sua applicazione alla lettera, sostiene il rappresentante cattolico, «fomenta l’odio tra le comunità coltivato da questi gruppi [fondamentalisti] e crea divisioni profonde nella società e sfiducia nelle autorità da parte delle minoranze». A questo proposito, è intervenuto anche Mujaheed Nafees, musulmano, avvocato del Comitato di coordinamento delle minoranze. Questo autorevole rappresentate sia della comunità musulmana che dell’organo che dovrebbe essere garante dei diritti delle minoranze, si è rivolto direttamente al governatore dello stato del Gujarat, chiedendo la cancellazione della nuova legge.
In seno al mondo mussulmano, ormai da tempo si avverte l’insicurezza causata dalla discriminazione contro l’intera comunità, per altro assai numerosa in quanto l’India è, dopo l’Indonesia, il secondo paese al mondo per numero di fedeli di questa religione. In effetti, afferma Nafees, «il provvedimento è usato per minacciare i musulmani, anziché proteggere le donne. In molti casi ho visto organizzazioni fondamentaliste indù andare a consultare i registri di matrimonio cercando le coppie miste da prendere di mira. La filosofia che sta dietro a questa legge viola la libertà religiosa delle persone: è un modo attraverso cui leader politici maschi vogliono imporre le loro idee alle donne, privandole del diritto di scegliere».
La questione del “love Jihad” è riemersa anche nello stato del Kerala anche se in un contesto completamente diverso. Infatti, il governo ha negato il permesso al rientro in India a quattro donne che, insieme ai rispettivi mariti e figli, erano partite per l’Afghanistan per unirsi al Califfato. Le quattro, di origine cristiana e indù, si erano sposate con musulmani ed avevano, ovviamente, cambiato i loro nomi e la loro religione. I mariti sono stati poi uccisi in Afghanistan in momenti e contesti diversi. A questo punto le autorità indiane dell’Ambasciata di Kabul, dopo aver interrogato le connazionali, hanno negato loro i documenti per rientrare nel loro paese, affermando che si erano radicalizzate in modo pericoloso per la società indiana.
Senza dubbio, come in altre parti del mondo, anche in India sono avvenuti casi di giovani donne innamorate di terroristi di religione musulmana che si sono spinte fino a lasciare il Paese e arruolarsi con Daesh. Tuttavia, come ben dice la madre di una di queste, sarebbe bene anche processarle ma nel proprio Paese, tenendo conto della presenza di bambini, minori se non ancora nei primi anni di età. Anche i casi di queste giovani donne sono stati collegati, da parte dei fondamentalisti hindu, ai cosiddetti matrimoni d’amore forzati per la conversione. Se, da una parte, il fondamentalismo zafferano (quello indù) accusa quello verde (musulmano) di fomentare queste unioni e abbandoni di religione, dall’altro i musulmani insistono che non esiste una strategia precisa e quanto avviene è casuale.