Bye Bye Boris Johnson

Il Primo Ministro del Regno Unito, Boris Johnson, si è dimesso da leader del Partito conservatore e dovrà lasciare anche la guida del governo britannico.
Boris Johnson (AP Photo/Frank Augstein)

La crisi del governo britannico era in atto da mesi e le dimissioni del Primo Ministro e leader del Partito conservatore, Boris Johnson, questo giovedì 7 luglio, rappresentano la conclusione di un susseguirsi di dimissioni da parte di membri del suo governo che, erodendo la sua autorità, hanno paralizzato il governo: basti pensare che ben 40 alti membri del governo, solamente nelle ultime 24 ore, si sono dimessi. Il rapporto con i suoi ministri, d’altronde, è sempre stato conflittuale: si narra che addirittura nascondesse loro alcune cose che, una volta rivelate, li lasciava imbarazzati di fronte all’opinione pubblica.

La crisi di governo si è sviluppata a causa di vari motivi. Uno scandalo finanziario con un giro di denaro e affari loschi, contratti assegnati ad amici vari, e una mancanza di visione politica che Johnson ha sempre mostrato. Il fulcro della crisi, però, è stato il suo comportamento ondivago e la sua dissimulazione, ma soprattutto il suo fare prevaricatorio in una serie di scandali: prima su feste private svoltesi durante il lock-down del Covid-19 a cui hanno partecipato figure chiave della politica britannica, incluso lo stesso Johnson, poi sulla ristrutturazione del suo appartamento ufficiale e, infine, su uno scandalo sessuale che ha coinvolto il fedele Chris Pincher, nominato membro del governo nonostante si fosse poi scoperto che Johnson sapesse da tre anni che era stato accusato di aver aggredito sessualmente giovani uomini in più occasioni.

Nel suo discorso di addio, Johnson, più che riconoscere i suoi errori e la debolezza del suo governo, ha quasi incolpato il suo partito delle sue dimissioni. Tratti non inusuali dello stile Johnson, sprezzante del politically correct, eccessivamente ilare e a tratti razzista, che lo hanno condotto ad insultare spesso persino altri leader internazionali.

La gestione disastrosa della prima fase dell’emergenza pandemica del Covid-19, nella quale paventava con nonchalance la morte di molti per arrivare all’immunità di gregge, lasciando campo libero al coronavirus, gli è quasi costata la vita. Fischi e contestazioni da parte della folla non sono mancati durante le sue apparizioni nelle recenti celebrazioni per il giubileo della regina Elisabetta II.

Qualcosa in cui Johnson ha avuto successo? Egli ha avviato la Gran Bretagna verso un futuro a zero emissioni, anche contro la base conservatrice. Voleva condurre il regno alla Brexit? Ce l’ha fatta. È risaputo che Johnson avrebbe voluto essere un novello Winston Churchill e, anche in questo caso, almeno per un aspetto, ci è riuscito: lascia il suo incarico nel mezzo degli scandali.

Inizialmente Johnson si era dimesso solo da leader del partito conservatore, paventando la sua permanenza a Downing Street, residenza del Primo Ministro, per le questioni correnti, fino ad ottobre. Ciò lo ha condotto tuttora a nominare sostituti ai ministri che hanno ultimamente lasciato il governo. Infatti, nel sistema istituzionale britannico, il leader del partito che governa è anche Primo Ministro e i cambi di leadership si articolano in una procedura lunga e complicata. In un alquanto inusuale ma risoluto intervento, finanche lo stesso ex-Primo Ministro conservatore John Major aveva chiesto che Johnson lasciasse l’incarico il prima possibile, affermando che «la proposta che il Primo Ministro rimanga in carica, per un massimo di tre mesi, dopo aver perso il sostegno del suo gabinetto, del suo governo e del suo partito parlamentare non è saggia e potrebbe essere insostenibile».

Il sistema di elezione di un nuovo leader dei Tory, i conservatori britannici, è alquanto farraginoso. Secondo le regole attuali, i candidati hanno bisogno del sostegno di otto parlamentari conservatori per candidarsi. Una volta che tutti i candidati sono noti, i parlamentari conservatori terranno una serie di voti fino a quando rimangono solo due contendenti alla leadership. Al primo turno i candidati devono ottenere il 5% dei voti per rimanere in corsa (attualmente 18 parlamentari); al secondo turno, i candidati devono ottenere il 10% (attualmente 36 parlamentari); nelle tornate successive verrà eliminato il candidato con il minor numero di voti. Quando restano solo due candidati, tutti i membri del Partito conservatore in tutto il Regno Unito, quindi non solo i parlamentari, voteranno per eleggere il nuovo leader, che diventerà anche nuovo Primo Ministro.

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