9 maggio senza vittoria

La celebrazione russa della capitolazione nazista dopo la Seconda guerra mondiale avverrà in pompa magna, ma senza che Putin possa vantare successi particolari. Le ultime speranze della diplomazia
vittoria

Certi analisti militari e politici e buona parte dell’opinione pubblica europea, che ormai ha accumulato un buon gruzzolo di nozioni strategiche e geopolitiche, stanno aspettando con interesse la parata della Festa della vittoria russa sui nazisti di lunedì 9 maggio: che battaglioni saranno schierati? Che aerei voleranno? Ci saranno le testate nucleari? Chi sarà accanto al capo? Da queste risposte, si pensa di trarre delle indicazioni sullo stato di salute del regime di Vladimir Putin e dell’esercito russo. Sarà: è evidente che il presidente russo cercherà di schierare la serie più impressionante possibile di armi e armate, ovviamente in funzione anti-ucraina e antioccidentale. Staremo a vedere.

Intendiamoci, può darsi che da tale sfilata emergano novità, frustrazioni e nuovi muscoli palestrati, ma la guerra è quella che si combatte ora sul terreno, nel Donbass. E lì le cose sembrano scivolare in uno stato di stallo. Mosca non è riuscita nemmeno a conquistare le acciaierie di Azovstal, l’ultimo bastione di resistenza a Mariupol, la città simbolo di questa guerra. L’immenso stabilimento metallurgico, 11 chilometri quadrati di impianti, qualcosa come un rettangolo di 4 chilometri per 3, resiste ancora con un numero imprecisato di soldati della Brigata Azov, quelli considerati neonazisti da Putin (ora) e da tanti altri esperti anche occidentali (prima della guerra). E quindi Putin non può sbandierare nemmeno la riconquista totale e la messa in sicurezza del corridoio sul Mar Nero e sul Mar d’Azov, che metterebbe in contatto terrestre la madre patria russa con la penisola di Crimea. Anche se nei fatti Mariupol – Azovstal esclusa − è saldamente nelle mani di Mosca.

Per il resto − tra bombardamenti generalizzati sul territorio ucraino, tra presunti o veri affondamenti di navi della flotta russa nel Mar Nero ad opera di missili di fabbricazione ucraina Neptune, tra infiniti talk show e propaganda, la continua presenza mediatica dei due leader in guerra −, sul terreno, nel Donbass, la battaglia s’è arenata nella conquista o riconquista di piccoli entri agricoli di bassa importanza strategica, con una evidente superiorità militare russa ma senza che lo sfondamento avvenga, mentre l’Occidente – Usa e GB in prima fila, ma anche alcuni Paesi dell’Unione europea − sta alacremente istruendo truppe ucraine per addestrarle all’uso di armi non provenienti dall’universo sovietico. Anche l’esercito ucraino, infatti, era equipaggiato sostanzialmente con armamenti in dotazione alle truppe del Patto di Varsavia, ovviamente aggiornate e rimodernate. Gli strateghi ucraini sperano che le nuove armi, in particolare artiglieria e droni dal cuore digitale, possano invertire la tendenza sul campo.

In campo diplomatico, Zelensky ha fatto una dichiarazione importante: rinuncerebbe in effetti alla Crimea e forse a parte del Donbass pur di giungere alla pace. Da Mosca tale posizione viene interpretata come un segno di debolezza, esattamente il contrario di quanto non faccia il fronte pro-Ucraina. Sta di fatto che il presidente sembra voler concludere la guerra – il Pil ucraino sta crollando, i porti sono bloccati, il grano e l’olio di semi escono dal Paese in minima parte rispetto al passato via terra, il Paese sta in piedi solo per la generosità degli alleati −, e sta così preparando il suo popolo alle necessarie amputazioni del territorio ucraino: la Crimea sicuramente, ma anche parte del Donbass, probabilmente quella porzione di territorio che all’inizio della guerra era già nelle mani delle milizie filorusse di Lugansk e Donetsk. E forse l’ipotesi non è così lontana dalla realtà. Il che avvalorerebbe la posizione di chi sostiene che questa guerra è stata in ogni caso una perdita per entrambe le parti e che non valeva perciò la pena distruggere tanta ricchezza e seminare tanto odio per un conflitto che poteva e doveva essere evitato. Sarebbe incredibile che ci ritrovasse da capo a dodici dopo tanta morte.

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