Vince Mariano Rajoy

Le elezioni sembrano dare ragione al progetto conservatore del partito popolare. Un commento del nostro corrispondente in Spagna
Mariano Rajoy

I risultati delle elezioni generali del 26 giugno in Spagna sembrano dare ragione al progetto conservatore di Mariano Rajoy. La sua campagna è stata più convincente che non quella della nuova sinistra di Podemos, in alleanza col partito comunista, che non solo sognava di sorpassare il tradizionale partito socialista (Psoe), ma anche di cacciare dal governo il partito popolare e le sue politiche di austerità poco sociali.

 

Dopo sei mesi in cui abbiamo assistito a uno spettacolo mai visto prima in Spagna, con dei parlamentari incapaci di trovare un accordo per formare un governo, forse, gli spagnoli si sono sentiti delusi per il fallimento del dialogo all’interno di un regolamento parlamentare, come uno stretto «busto», che impone una precisa procedura per formare un nuovo esecutivo. Analisti, giornalisti e cittadini si son chiesti se non ci fosse un modo meno complicato per raggiungere l’obiettivo. Alla fine aleggia il triste sospetto che i parlamentari stavano solo guadagnandosi lo stipendio.

 

Una lettura dei dati sulla partecipazione al voto mostra che questa volta l’interesse per le elezioni è calato riguardo all’appuntamento di dicembre 2015: 69,67% di fronte al 73,21%. In pratica, su 36,5 milioni di votanti, il 30,16% (10,3 milioni) non ha voluto esercitare questo “dovere”, o potuto esercitare il suo diritto. Bisogna tornare al 1982 per trovare la partecipazione più alta del percorso democratico in Spagna, quando si è registrato un 79,97% di votanti. Da allora, la popolazione è molto invecchiata, e se pure ci sono meccanismi per facilitare il voto alle persone con difficoltà, certamente gli anziani si sentono meno stimolati ad andare alle urne.

 

La novità introdotta dalle elezioni di dicembre è ancora valida. Si conferma che il bipartitismo (Pp/Psoe) è passato di moda perché le nuove grandi formazioni politiche, Podemos (sinistra) e Ciudadanos (destra) mantengono i loro voti. Però Mariano Rajoy, presidente “incaricato” da dicembre scorso, non solo è riuscito ad attirare il voto “inutile” di chi a dicembre aveva votato Ciudadanos, ma ha pure resistito all’ultimo scandalo riguardante il ministro degli Interni su alcune conversazioni registrate in modo fraudolento. E così è passato dai 123 seggi di dicembre a 137, togliendone 8 a Ciudadanos e 5 al Psoe.

 

Forse non è stato fonte di preoccupazione solo i 130 milioni di euro che costa convocare nuove elezioni, ma il clima d’incertezza generato da un «momento storico» senza un governo formalmente costituito, mentre si assiste allo spettacolo vergognoso, dove è più importante impedire che qualcun altro governi piuttosto che mettere in moto l’apparecchio legislativo.

 

Tornando al metaforico «busto», potremmo ben applicarlo alla cosa pubblica in Spagna. Il «busto» opprime e incomoda solo una parte del corpo, ma tutto l’uomo ne patisce. Qualcosa di simile succede al nostro corpo sociale quando qualcuna delle sue parti chiede di cambiare il vestito. Il buon senso consiglierebbe di accomodarlo qua e là.

 

Avremmo di nuovo un parlamento con molti partiti rappresentati da un buon numero di parlamentari.

Speriamo che questa volta non succeda come col “parlamento fallito” sorto dalle elezioni di dicembre, e quella rancida rivalità del «togliti di mezzo che vengo io» impedisca di nuovo di formare un governo. Sembra di no. Coi «pattometri» che diversi giornali hanno introdotto come novità nei loro siti web, possiamo già intravedere le reali possibilità al riguardo.

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