Una nuova esperienza di cattolicità

Il 22 dicembre Benedetto XVI ha ricevuto in udienza la Curia romana per gli auguri natalizi, nella gioia della Gmg di Madrid, medicina contro la “stanchezza del credere"
Papa e Curia romana

Un compendio di spiritualità cristiana: è il sunto del discorso del papa alla Curia romana dove come di consueto, ha tracciato un bilancio dell’anno trascorso ricordando gli avvenimenti più importanti e le impressioni interiori che ha maturato a contatto con tante realtà in tutto il mondo. Il papa è molto schietto quando dice che «l’Europa si trova in una crisi economica e finanziaria che, in ultima analisi, si fonda sulla crisi etica che minaccia il Vecchio Continente». Questa crisi è direttamente collegata alla crisi della fede perché cala continuamente la frequenza alla Messa, cresce il numero delle persone anziane, le vocazioni al sacerdozio stagnano e aumentano scetticismo e incredulità. Una possibile rinascita scaturisce dagli elementi di spiritualità che emergono dalla Giornata mondiale della Gioventù di Madrid.

 

Un primo elemento che il papa evidenzia è l’esperienza di universalità, unità, fratellanza che fanno questi giovani tra di loro incontrandosi per la prima volta. Ricordo anch’io lo shock di quando partecipai nel 1991 a Czestochowa, in Polonia e, per la prima volta – le barriere con i Paesi dell’Est erano da poco crollate – incontrai per la prima volta giovani di tutti i Paesi dell’Est: lituani, russi, cechi, moldavi, ucraini. «È questo che ha colpito – spiega Benedetto XVI – in modo molto immediato i giovani e tutti i presenti: proveniamo da tutti i continenti, e, pur non essendoci mai visti prima, ci conosciamo. Parliamo lingue diverse e abbiamo differenti abitudini di vita, differenti forme culturali, e tuttavia ci troviamo subito uniti insieme come una grande famiglia». È un’esperienza di bellezza, di freschezza del cristianesimo, di grande gioia e comunione nella Chiesa universale. È come il big bang dell’esperienza cristiana che contiene dentro una nuova vita che nasce.

 

Un secondo elemento che il papa sottolinea è la gratuità, dare se stessi facendo il bene perché è bello. E cita i 20 mila volontari della Gmg di Madrid: «Questi giovani – dice il papa – erano visibilmente e “tangibilmente” colmi di una grande sensazione di felicità: il loro tempo donato aveva un senso; proprio nel donare il loro tempo e la loro forza lavorativa avevano trovato il tempo, la vita», mentre il rischio dei cristiani è di fare il bene «per così dire, per se stessi», nella ricerca di perfezionarsi o di avere qualcosa in cambio, fosse anche il paradiso. Il vero amore cristiano, invece, è gratuito e disinteressato. «È una generosità del darsi che, in definitiva, nasce dall’incontro con Cristo che ha dato se stesso per noi».

 

L’amore, la gratuità ci portano a scoprire nell’adorazione, terzo elemento sempre centrale nelle Gmg, la scoperta che Gesù è presente, è vivo oggi nella grande storia e nella storia personale di ognuno di noi. «La presenza corporea del Cristo risorto è ancora qualcosa d’altro, è qualcosa di nuovo. Il Risorto entra in mezzo a noi». Si entra, secondo il papa, nella «certezza dell’amore corporeo di Dio per noi».

 

Esiste, però nell’uomo anche la «tendenza contraria all’amore, la tendenza all’egoismo, al chiudersi in se stessi, anzi, la tendenza al male», per questo esiste il sacramento della penitenza, quarto elemento sempre presente nelle Gmg, per riconciliarsi con Dio e con gli altri, per tornare a volare alto.

 

Il quinto elemento da cui far ripartire il cristianesimo è la gioia che nasce dalla certezza dell’Amore personale di Dio per ogni persona perché l’uomo «ha bisogno dell’esserci dell’altro che gli dice, non soltanto a parole: è bene che tu ci sia. Solo a partire da un “tu”, l’“io” può trovare se stesso. Solo se è accettato, l’“io” può accettare se stesso. Chi non è amato non può neppure amare se stesso. Questo essere accolto viene anzitutto dall’altra persona. Ma ogni accoglienza umana è fragile. In fin dei conti abbiamo bisogno di un’accoglienza incondizionata. Solo se Dio mi accoglie e io ne divento sicuro, so definitivamente: è bene che io ci sia. È bene essere una persona umana. Dove viene meno la percezione dell’uomo di essere accolto da parte di Dio, di essere amato da Lui, la domanda se sia veramente bene esistere come persona umana non trova più alcuna risposta». Questa certezza è il fondamento, anche psicologico, di una vita equilibrata e della capacità di amare.

 

Nelle parole di Chiara Lubich, nella sua Lectio Magistralis per la Laurea Honoris Causa del 1999 a Malta, riecheggiano le stesse idee: «In psicologia – dice Chiara – si sa per certo che il bisogno fondamentale di una persona è di essere riconosciuta nella sua propria identità, unica e irripetibile, di non essere considerata un numero o un oggetto. Normalmente in genere questa sicurezza viene dai genitori, dalla famiglia, dalle doti, dall’educazione ricevuta, per cui si sente se stessa, distinta dagli altri; ma tutte queste cose possono venire relativizzate: gli altri non la riconoscono, non la capiscono, non l’apprezzano, e perciò cade nel senso di insignificanza e di depressione. Ora, la scoperta e il raggiungere la certezza che Dio la ama, l’ha voluta, che non è abbandonata al caso o ad un destino cieco, è la base perché abbia quella sicurezza psicologica che dà senso alla sua vita e uno scopo nel mondo. Solo la certezza che Dio è amore anche per lei, le dà la forza di continuare a uscire da sé, a vivere, ad amare e a creare comunione sociale».

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