Un porto antico… di Classe!

Un parco archeologico di 13 mila ettari sorto vicino Ravenna sul sito di uno degli scali più prestigiosi del Mediterraneo antico

Come far “rivivere” e rendere “leggibile” ai cultori di turismo culturale uno dei porti commerciali più attivi del mondo antico (oggi distante circa nove chilometri dal mare per l’avanzamento della costa) in assenza di resti monumentali come quelli di Ostia alla foce del Tevere? Il riferimento è allo scalo del I secolo d. C. creato da Augusto sul lido ravennate per la flotta operante nel Mediterraneo orientale; scalo che, grazie alla sua funzione di sbocco commerciale sull’Adriatico e baluardo militare, diede origine – tra i due bracci del porto-canale e sulla sponda Sud del medesimo – ad un vero centro urbano murato: Classe (dal latino classis, “flotta”). Tale sviluppo avvenne tra il V e il VI secolo, epoca del massimo splendore di Ravenna assurta nel 402, con Onorio, al ruolo di nuova capitale dell’Impero romano d’Occidente dopo Milano. Mentre la decadenza di questo polmone vitale va posta nell’VIII secolo, quando i pochi abitanti superstiti si concentrarono attorno alle chiese e agli edifici che avevano resistito ai precedenti saccheggi e occupazioni dei longobardi, agli assedi e alle riconquiste dei bizantini, ai terremoti…

Trent’anni fa, epoca di una mia visita al sito, testimone di tanta storia era solo la basilica di Sant’Apollinare in Classe coi suoi tesori di marmi e mosaici del VI secolo, in suggestivo isolamento a cinque chilometri dal centro storico di Ravenna. Eppure, dopo gli occasionali rinvenimenti di fine Ottocento e i sondaggi e scavi a singhiozzo del secolo scorso, dell’antico nucleo marittimo gli archeologi avevano rimesso in luce strutture abitative e portuali, magazzini, resti di attività artigianali, strade, necropoli e i ruderi di due chiese: quella dedicata al primo vescovo della città romagnola, san Severo, e la Petriana. A partire dal 2001 sono state avviate, stavolta in modo sistematico, ulteriori campagne di scavo che hanno ricostruito più nel dettaglio le trasformazioni dello scalo ravennate dal suo apogeo politico ed economico (contava una flotta di 250 navi e 10 mila uomini!) fino all’epoca dell’abbandono.

Per rispondere alla domanda iniziale basta oggi una visita al Parco archeologico di Classe, l’ultima attrattiva culturale di una Ravenna che vanta già ben otto monumenti paleocristiani e bizantini dichiarati patrimonio mondiale dell’umanità dall’Unesco (l’inaugurazione nel 2015). Realizzato con criteri espositivi d’avanguardia dalla Fondazione Ravenna Antica d’intesa con il comune di Ravenna, l’amministrazione provinciale, l’Università di Bologna e la Soprintendenza archeologica dell’Emilia-Romagna, l’ambizioso progetto di musealizzazione a cielo aperto interessa un’area di circa 13 mila metri quadrati costellata di evidenze archeologiche. Fulcro di essa, la basilica di Sant’Apollinare e i resti delle altre due chiese citate, cui si aggiungerà il Museo della città e del territorio, in avanzata fase di allestimento negli spazi di un recuperato ex zuccherificio.

Per rendere l’idea di quello che era stato il contesto lagunare e del litorale sabbioso obliterati dall’interramento, il progetto ha comportato anche la “correzione” degli elementi di maggior impatto visivo, come la ferrovia costiera Ravenna-Rimini, il ripristino parziale del bacino d’acqua del ramo secondario del canale portuale e la ricostruzione reale o virtuale di alcuni settori ed edifici.

Il percorso di visita al quartiere tardo-romano e bizantino, accessibile anche ai disabili, ha inizio dal Centro visite, dove proiezioni multimediali consentono un inquadramento storico, archeologico e geografico del sito. Sei le tappe: l’isola che divideva i due bracci acquatici, il ponte che collegava l’isola stessa alle banchine, l’area in cui si tiravano a secco le imbarcazioni, la strada basolata percorsa dai carri con le merci dirette a Ravenna, i magazzini allineati lungo il canale e infine, sul lato meridionale dello scavo, l’edificio 17 distrutto da un incendio e rinvenuto con l’intero suo corredo di merci che ha permesso di ricostruire i criteri di stoccaggio di un magazzino agli inizi del VI secolo. Inoltre due belvedere realizzati in punti diversi offrono una visuale completa del Parco. Lungo il percorso sono disseminati pannelli illustrativi tematici e lastre trasparenti con ricostruzioni di elementi architettonici ormai scomparsi che vengono a sovrapporsi sui ruderi retrostanti, restituendo così la vista del complesso come doveva essere in tempo.

Evocativi della vita quotidiana, dei traffici commerciali e anche della dimensione cosmopolita di una città sul mare come Classe, oltre agli abbondantissimi materiali costituiti in prevalenza da anfore e lucerne, sono alcuni reperti particolari come sette cucchiai in argento dorato per uso liturgico e una scodella d’argento, probabile offerta per qualche chiesa, ma soprattutto i corredi e le iscrizioni delle sepolture rinvenute fuori e all’interno delle mura (le seconde, tipiche dell’ultimo periodo di vita della città). Eccezionale interesse presenta una stele funeraria del I secolo d. C. che rappresenta a figura intera un certo Montano Capitone in tenuta militare. Dall’iscrizione apprendiamo che il defunto era un optio, ossia graduato con funzioni prevalentemente amministrative che prestava servizio sulla liburna “Aurata”, una imbarcazione ausiliaria leggera a due ordini di remi. Pur nelle sue dimensioni ridotte, la scultura è curata dei minimi particolari: il defunto dai capelli a caschetto regge con la mano destra un pilum (sorta di giavellotto) mentre con la sinistra trattiene il bordo del mantello. Indossa una corazza anatomica con spallacci a squame e gonnellino rinforzato da protezioni sul ventre; gli attraversa il petto una banda che potrebbe appartenere ad una decorazione militare. Inoltre reca alla cintura un gladium (spada) dal fodero decorato e ai piedi le caligae, i tipici sandali militari.

È la prima volta che ci è dato conoscere il vero aspetto di un classiario (marinaio della flotta militare). Infatti tutte le altre stele di militari rinvenute a Classe ce li mostrano indossanti la toga, cioè nella loro qualità di cittadini romani. Anche da reperti del genere, destinati con gli altri materiali al futuro Museo in corso di allestimento, ci viene restituita un’immagine viva dell’antica città portuale.

 

 

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