Un Natale anche per loro

Domenica 18 dicembre Benedetto XVI visita il carcere romano di Rebibbia. Da 22 anni il cappellano è don Sandro Spriano

68.047 detenuti a fronte di 45.636 posti branda nelle carceri italiane. 61 suicidi nel 2011 con 900 tentativi falliti. Si suicidano anche le guardie carcerari e 5 mila sono gli atti di autolesionismo. Le carceri italiane esplodono per il sovrappopolamento che causa mancanza vitale di spazi, di luce, di assistenza medica. All’interno di una cella, sui letti si fa di tutto per una media di 20 ore al giorno: si mangia, si guarda la tv, si scrive, si legge per non parlare della maggiore promiscuità e conflittualità. Mancano i fondi per i diritti umani fondamentali: il vitto, il vestiario, l’igiene personale. Nel carcere romano di Rebibbia ci sono 1700 detenuti su 1100 posti disponibili. Don Sandro Spriano, ne è l’ appassionato Cappellano, che lavora “dietro le sbarre” da 22 anni. Domenica 18 dicembre arriverà il papa per rispondere ad una decina di domande dei detenuti. Ci sarà mai un Natale, una rinascita, anche per loro?

 

Qual è l’ attesa per la visita del Papa nel carcere di Rebibbia?

«L’attesa è grande perché non ci aspettavamo che il papa accettasse il nostro invito. Soprattutto in questo momento di quasi totale abbandono da parte delle istituzioni, la presenza del papa mi sembra molto significativa per sollecitare i politici a dare un’occhiata dentro il mondo carcerario. Cosa che, in questo momento, non avviene. Un’altra attesa, ne abbiamo parlato con i detenuti, è che questa visita possa far riflettere noi cristiani su quale tipo di giustizia desideriamo. Oggi la giustizia non ha, infatti, niente di evangelico. Ci siamo troppo adattati a questo sistema che cerca i colpevoli, li condanna, li mette in carcere e si ferma lì. Nella Bibbia, a cominciare da Caino e Abele, la giustizia e la salvezza sono per tutti, vittime e colpevoli».

 

Perché il papa ha deciso di venire?…C’entra la lettera da lei indirizzata al papa e pubblicata sul “Corriere della sera” il 14 luglio del 2009?

«Perché ha deciso di venire in questo momento non lo so, sicuramente la lettera è stata uno degli input ed è stata letta. Immagino che il papa voglia portare gli auguri di Natale ai carcerati e che questo mondo meriti un’attenzione da parte della Chiesa. L’incontro non sarà una celebrazione eucaristica, ma un dialogo, fatto di domande e risposte, tra il papa e i carcerati. Sono arrivate centinaia di domande e il papa risponderà ad una decina di esse fatte dalla viva voce dei carcerati. Vuole essere un incontro di fraternità con canti, preghiere e il rapporto personale con il papa. Non ci saranno neanche i volontari né le autorità, ma solo i detenuti e il papa».

 

Il sovrappopolamento delle carceri quali malesseri principali causa?

«Quando vediamo i cani ammassati dentro le gabbie dei canili comunali che vengono maltrattati ci indigniamo. Nelle carceri, mutatis mutandis, siamo nelle stesse condizioni. Attualmente i carcerati vivono in condizioni in cui è calpestata la dignità umana, perché mancano le risorse economiche e umane per gestire gli istituti di pena. Ieri, nel carcere di Rebibbia, 20 detenuti, che non hanno trovato posto nelle celle e per questo sono sistemati in una sala di socialità con i materassi a terra, non potevano andare in bagno perché erano rotte le tubature e non ci sono i soldi per riparare i tubi. Scompaiono, così, i diritti fondamentali che non si riescono a soddisfare».

 

Ma qual è il nocciolo della questione?

«Dal mio punto di osservazione, il nocciolo della questione è che il carcere non è più l’estrema ratio, come previsto dalla Costituzione, di una condanna di fronte ad un reato, ma è diventato lo strumento di ricovero per persone che non riusciamo più a integrare nella società: abbiamo i barboni, i malati di mente, gli immigrati, i tossicodipendenti, i poveri, i senza fissa dimora. Basta rubare una caramella per finire in carcere che diventa così manicomio, asilo, ospedale, ecc…Stiamo usando il carcere per eliminare tutti coloro che ci danno fastidio perché è la cosa più semplice. Tutto ciò avviene senza pensare che andare in carcere è come essere condannato alla pena di morte, perché si perdono tutti i diritti e l’accesso al lavoro è chiuso per sempre. A quel punto è gioco forza commettere altri reati per poter sopravvivere».

 

Quali possibili soluzioni, visto la sua esperienza di 22 anni come Cappellano, vuole proporre?

«Ci sono soluzioni a costo zero. Ci vorrebbe una legislazione non vendicativa come la legge Cirielli o sulla tossicodipendenza. Quasi il 50 per cento dei detenuti è in carcere per la custodia cautelare; sono, cioè, imputati e non condannati».

 

È favorevole all’amnistia?

«Non è la soluzione dei problemi ma è quella boccata d’ossigeno che serve per trovare quel minimo di dignità per la vita dei detenuti ora in sovrannumero. Come si fa a vivere in una stanza con sei detenuti, dove ne erano previsti tre, con 50 centimetri di spazio a testa? Non è più accettabile vivere in queste condizioni. Poi, bisogna mettere mano a riforme legislative sostanziali, pensando a pene alternative che in Italia non abbiamo».

 

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