Un anfiteatro tutto verde

È quello di Urbs Salvia (Urbisaglia), sul quale è cresciuto un boschetto di roverelle. Un monumento valorizzato dalle rappresentazioni classiche estive
Anfiteatro Urbs Salvia

«Se tu riguardi Luni e Urbisaglia/Come son ite e come se ne vanno/Di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia/Udir come le schiatte si disfanno/Non ti parrà cosa nova né forte/Poscia che le cittadi termine hanno». Così paragona Dante la decadenza delle casate a quella di quattro antiche ed un tempo fiorenti città. Tra queste il Poeta cita Urbisaglia, attuale comune della provincia di Macerata.

Nata come colonia nel II secolo a. C. col nome di Pollentia, in una zona pianeggiante attraversata da un importante tracciato viario che da Ausculum (Ascoli Piceno) conduceva fino alla via Flaminia e che nel suo tratto urbano costituiva il cardo maximus della città, assunse in età augustea il nome di Urbs Salvia: fatto eccezionale, in quanto nessuna città dell’Impero ebbe l’onore di fregiarsi dell’appellativo di Urbs oltre all’Urbe per eccellenza, Roma.

Dopo essere stata saccheggiata e parzialmente distrutta dai Visigoti di Alarico nel 408-409 d. C., fu gradualmente abbandonata dagli abitanti, rifugiatisi sul vicino colle di San Biagio: un insediamento da cui avrebbe preso origine il Castro de Orbesallia, primo nucleo dell’attuale Urbisaglia. E proprio quella città ridotta a squallore vide e cantò Dante nel suo Paradiso.

Oggi il parco archeologico di Urbs Salvia (Salvia, probabilmente dalla dea Salus, per la presenza nel luogo di acque sorgive salutari) è il più spettacolare e importante della regione, estendendosi per circa 40 ettari nel verde della campagna marchigiana. Campagna in cui spiccano antichi casali costruiti coi materiali sottratti alla città romana, dal 1995 oggetto di regolari campagne di scavo. I resti archeologici, distribuiti su terrazzamenti che davano un’impronta “ellenistica” all’impianto urbano, comprendono sepolcri, una cinta muraria scandita da torri di guardia a pianta poligonale, una monumentale cisterna d’acquedotto, un teatro tra i più grandi d’Italia, strade basolate, un edificio a nicchioni che funge da scenografico raccordo dei vari livelli della città, un complesso tempio-criptoportico dedicato alla Salus Augusta, aperto sul cardo maximus e prospettante sul Foro; e infine, posto all’esterno della porta urbica orientale per facilitare l’afflusso e il deflusso del pubblico, l’anfiteatro meglio conservato tra i dieci messi in luce finora nelle Marche.

Realizzato sotto la dinastia dei Flavi in opera cementizia rivestita di laterizi, con alternanza di opus reticulatum mixtum, questo edificio riservato un tempo agli spettacoli cruenti e capace di circa 5 mila spettatori si conserva in tutto il suo perimetro fino all’altezza del primo ordine dei gradini: il resto, compreso l’anello esterno, venne depredato durante il Medioevo per la costruzione del borgo di Urbisaglia e della vicina abbazia di Chiaravalle di Fiastra.

A parziale compenso di tanta rovina, sulle distrutte gradinate è cresciuta una lussureggiante corona di roverelle, la specie di querce più diffusa in Italia; e questo ombroso boschetto fa da verde scenario alle rappresentazioni estive di capolavori del teatro classico nell’arena (info su http://www.urbisaglia.com/). Questo appuntamento, giunto alla quindicesima edizione, vede coinvolti altri teatri romani delle Marche, divenuti anch’essi esempio di valorizzazione culturale di luoghi storici, archeologici e artistici di grande pregio.

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