Terremoto SuperLega: bluff o fine del calcio popolare?

Dopo alcune indiscrezioni del fine settimana, un annuncio ufficiale a mezzanotte scuote il mondo del calcio: i principali team europei annunciano la volontà di costituire una Superlega. Durissime reazioni e molti interrogativi da tutto il movimento mondiale
Andrea Agnelli, presidente della Juventus e vicepresidente della SuperLege (Foto LaPresse - Fabio Ferrari)

Il comunicato sulla nuova Superlega
Dodici blasonatissimi club di Gran Bretagna, Spagna e Italia, tra cui Juventus, Milan e Inter, scrivono che «in futuro i Club Fondatori auspicano l’avvio di consultazioni con UEFA e FIFA al fine di lavorare insieme cooperando per il raggiungimento dei migliori risultati possibili per la nuova Lega e per il calcio nel suo complesso. La creazione della Super League arriva in un momento in cui la pandemia globale ha accelerato l’instabilità dell’attuale modello economico del calcio europeo. Inoltre, già da diversi anni, i Club Fondatori si sono posti l’obiettivo di migliorare la qualità e l’intensità delle attuali competizioni europee nel corso di ogni stagione, e di creare un formato che consenta ai top club e ai loro giocatori di affrontarsi regolarmente».

La nota sottolinea come la pandemia abbia evidenziato la necessità di una visione strategica diversa in seguito al loro ampio dialogo con gli stakeholder del calcio. I Club Fondatori stanno probabilmente alzando l’asticella nei confronti dell’UEFA, l’organizzazione europea del calcio: «le misure proposte a seguito di questi colloqui non rappresentano una soluzione per le questioni fondamentali, tra cui la necessità di offrire partite di migliore qualità e risorse finanziarie aggiuntive per l’intera piramide calcistica», scrivono.

Cosa accadrebbe?
Il format della competizione, per quanto ancora tutto da definire, prevede 20 club partecipanti di cui 15 Club Fondatori e un meccanismo di qualificazione per sole altre 5 squadre, che «verranno selezionate ogni anno in base ai risultati conseguiti nella stagione precedente; partite infrasettimanali con tutti i club partecipanti che continuano a competere nei loro rispettivi campionati nazionali, preservando il tradizionale calendario di incontri a livello nazionale che rimarrà il cuore delle competizioni tra club. Il nuovo torneo annuale fornirà una crescita economica significativamente più elevata – prosegue la nota – e un supporto al calcio europeo tramite un impegno di lungo termine a versare dei contributi di solidarietà senza tetto massimo, che cresceranno in linea con i ricavi della lega. Questi contributi di solidarietà saranno sostanzialmente più alti di quelli generati dall’attuale competizione europea e si prevede che superino i 10 miliardi di euro durante il corso del periodo iniziale di impegno dei club. Inoltre, il torneo sarà costruito su una base finanziaria sostenibile con tutti i Club Fondatori che aderiscono a un quadro di spesa».

Negoziazione o ammutinamento dei ricchi? Le reazioni
Dietro tutto, la solita ancestrale bramosia di denaro a discapito del merito e del confronto. I Club Fondatori riceverebbero un contributo una tantum da dividersi pari a 3,5 miliardi di euro a supporto di piani d’investimento in infrastrutture e bilanciamento contro impatto della pandemia Covid-19. Non a caso, la Uefa ha recentemente riferito di aver guadagnato 3,25 miliardi di euro dalla vendita dei diritti di Champions League, Europa League e Supercoppa Uefa. Tentativo di riforma dell’attuale Champions? Spinta provocatoria al tavolo della negoziazione? Di fatto, durissime le reazioni di UEFA e leader politici europei. Boris Johnson, Emmanuel Macron e Enrico Letta sono stati tra i primi a criticare apertamente una scelta a loro dire impopolare ed elitaria. Sulla stessa linea anche i grandi club di Germania e Francia. «Resteremo uniti nei nostri sforzi per fermare questo cinico progetto – si legge in una nota congiunta di Figc, Lega Serie A, Liga, Premier League e federazioni di Spagna e Inghilterra – prenderemo in considerazione tutte le misure a nostra disposizione, a tutti i livelli, sia giudiziario che sportivo, al fine di evitare che ciò accada (si parla già di possibili richieste di danni per decine di miliardi). Questo persistente interesse personale di pochi va avanti da troppo tempo. Quando è troppo è troppo».

Quanto super-contano i super-procuratori di una super-lega?
Campioni come Kevin De Bruyne, che ha scelto di trattare personalmente col club come tanti professionisti, già anche dello sport, devono per forza restare un’eccezione? O il mondo del calcio accetterà ancora che figure, come ad esempio l’ormai vip Mino Raiola, possano decidere le sorti di interi campionati muovendo i giocatori come pedine verso un club o l’altro al loro fantasmagorico prezzo imbottito di pesantissime commissioni supplementari da milioni di euro? E i giocatori, che accettano di farsi così rappresentare e “gestire”, fino a che punto venderanno la loro possibilità di dignitosa scelta? Il comunicato arriva poi paradossalmente in un periodo dove alcuni di questi grandi club non spadroneggiano certo: non a caso, la grande Juventus ha perso proprio ieri contro l’Atalanta e qualche settimana fa contro il piccolo Benevento. Mentre Milan e Inter arrancano da anni.

Il calcio è del popolo, dei Maradona, dei Riva e… di Joao Pedro
Il calcio è sempre stato un romanzo popolare globale, in grado concentrare le più grandi storie e le miserie umane. Di trascinare entusiasmi di nazioni, come il mito di un Diego Armando Maradona che intendeva «sfidare i poteri forti per il suo popolo», o regioni, come quella Sardegna che amò Gigi Riva venuto a Cagliari per sfidare, e battere, quella grande Juventus che lo avrebbe coperto di denaro e ancora maggiore fama. Ma soprattutto, ci auguriamo che resti sempre il calcio di Joao Pedro, capitano del Cagliari: al termine di un avvincente incontro al cardiopalmo vinto dai suoi contro il Parma, in una delicatissima sfida che probabilmente condannerà i ducali alla retrocessione, anziché andare a festeggiare, si è seduto in campo accanto all’avversario Jasmin Kurtic in lacrime, fino a che anche questi non si è rialzato. Perché SuperLega o no, cosa resta dello sport, se il ricco porta via il pallone per tenerlo per sé, anziché farne strumento di condivisione tra diversità, ceti sociali, sorrisi e lacrime con gli “altri”?

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