Tahrir e la condanna di Mubarak

Mentre ferve la campagna elettorale per il ballottaggio delle presidenziali, la piazza della rivoluzione si riempie di nuovo
egitto elezioni

Dopo i risultati del primo turno delle presidenziali, in Egitto si respira non poca delusione e persino un certo sentimento di sgomento, perché il profilo dei due candidati che andranno in ballottaggio il 16 e 17 giugno, non risponde alle attese della maggioranza del popolo: Mohammad Morsi, appartiene ai Fratelli musulmani e promette di introdurre la shari’a, la legge islamica, e i principi del loro fondatore, Hassan-al-Banna; Ahmad Shafik, invece, è stato l’ultimo premier nel governo di Mubarak, dopo essere stato capo dell’aviazione militare e poi civile, e promette una nuova era, anche se appare l’uomo del regime e delle forze armate.

Il secondo turno, va ricordato, sarà preceduto l’11 giugno da una sentenza sull’eleggibilità di Ahmad Shafik, per una complessa questione sugli ex-membri del partito del governo. Vari scenari sono possibili e perciò si respira un clima di grande sospensione. L’invocazione ya Rab!, oh Signore!, è sulla bocca di tanti, sia musulmani che cristiani. Il popolo intero sembra interrogarsi, e nei fatti le diverse anime del Paese si trovano paradossalmente unite dall’incertezza generalizzata.
Restano i profondi dubbi sull’avvenire del Paese, e in particolare della libertà che sarà concessa ai cristiani copti.

Recentemente, il candidato Morsi avrebbe detto in un comizio che «i cristiani saranno costretti a convertirsi». In realtà i Fratelli musulmani, non ancora avvezzi al potere, sembrano esprimersi in modi molto vari, a secondo degli uditori e dell’opportunità politica. Ne sia prova il fatto che proprio in questi giorni lo stesso Morsi ha affermato che i copti non devono preoccuparsi, che possono vestirsi come va bene secondo la loro religione, che il turismo occidentale non ha nulla da temere e che le donne possono lavorare fuori casa. Siamo nell’ambito della propaganda, quindi.

I Fratelli musulmani, tra l’altro, debbono fare già i conti con un comportamento parlamentare stigmatizzato da tanti: si sono squalificati per il loro comportamento poco democratico e civile, tanto da suscitare sospetto anche in non pochi tra i loro sostenitori. Fa paura la voglia irrefrenabile di Fratelli musulmani e salafiti di occupare a tutti i costi ogni grado del potere: ad esempio, se nei programmi elettorali per il parlamento dichiaravano solennemente di non puntare alla presidenza, ora invece sono implicati mani e piedi nel ballottaggio. Se prima della sentenza, Ahmad Shafik pareva in vantaggio, ora l’esito delle elezioni è più che incerto. Sicuramente tantissimi giovani e persone disgustate delle sentenze non voteranno per non “andare contro coscienza” e Mohamad Morsi pare in una posizione più forte.
 
In questo contesto, piazza Tahrir si è di nuovo riempita dopo la sentenza che ha portato alla condanna all’ergastolo per Hosni Mubarak e per il suo ministro degli interni Adly. L’adunata spontanea non è stata provocata tanto da queste due decisioni della magistratura, ma dal fatto che contestualmente siano stati assolti, e quindi liberati, cinque alti funzionari dei vari servizi segreti accusati di aver dato gli ordini di sparare sulla folla, mentre i due figli dell’ex-presidente saranno giudicati solo per insider trading, cioè per affari finanziari poco chiari.

In un processo “normale” per condannare ci vogliono le prove dopo aver raccolto gli indizi. Ma questo non era un processo “normale”: sono morte più di mille persone durante e dopo la rivoluzione, ma sarebbe ora impossibile individuare tutti i poliziotti, i militari e i provocatori al soldo delle forze dell’ordine che hanno ferito, torturato o ucciso. Nel labirinto dei servizi segreti non ci sono mai ordini scritti per le “pratiche ordinarie” più efferate. Proprio per questo motivo si sarebbe dovuto condannare gli ufficiali responsabili di tali atti, coloro che avrebbero dato l’ordine di ammazzare o torturare. La piazza, lo si capisce bene, non ha accettato la sentenza, ed è perciò scesa nuovamente in strada.

Ci dice uno dei “rivoluzionari” della prima ora, a piazza Tahrir, Ramy Boulos, da noi raggiunto: «Il popolo egiziano ha assistito alla scena finale di uno dei peggiori spettacoli cui abbia mai assistito. Non possiamo immaginare che dopo tutto quel sangue versato e dopo tanti martiri si siano rilasciati i responsabili. Dopo i tanti fallimenti del Consiglio supremo delle Forze armate (Scaf) e della magistratura egiziana, centinaia di migliaia di persone hanno ritenuto che fosse diventato insopportabile parlare di “giustizia” e liberare i responsabili dei massacri. Così, attraverso i social media, nelle principali piazze in tutto l'Egitto la gente s’è ritrovata. La giornata di ieri, come hanno dichiarato molti dei partecipanti, me compreso, è stato definita come il 19° giorno della rivoluzione egiziana (dopo i primi 18 giorni del gennaio 2011). Si può dimenticare molte cose di cui abbiamo sofferto, ma non il sangue dei nostri fratelli e delle nostre sorelle martiri. Questo è il messaggio principale che i rivoluzionari vogliono consegnare allo Scaf. La nostra rivoluzione continua a compiere ciò per cui i nostri martiri sono morti: “Pane, libertà e giustizia sociale”».

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