Sfollati, le tre priorità

Nel mantovano cittadini e istituzioni al lavoro per mettere in sicurezza le case, far ripartire le attività commerciali e individuare eventuali ordigni bellici presenti nel terreno dall'ultima guerra
terremoto emilia

Il sudore appiccica i vestiti alla pelle, d’altra parte 35 gradi qui, oggi, ci sono tutti. Nell’Oltrepò mantovano, il terremoto s’è fatto sentire e non poco. Siamo nel basso mantovano, dove la Lombardia s’incunea tra le province di Modena, Ferrara, Rovigo e Verona, con Giuliano, assessore all’urbanistica di San Giacomo delle Segnate, 1.774 abitanti, di cui il 12 per cento extracomunitari.
 
E con Giuliano guardiamo il centro del paese, ora zona rossa, dove sorgono la chiesa di san Giacomo Maggiore in stile barocco del 1778 e il campanile, entrambi pericolanti. Il centro, come tutti i centri, è sede di attività commerciali, negozi e uffici. È chiuso tutto. Come a Quistello, Poggio Rusco, S. Giovanni del Dosso, Moglia e Schivenoglia, paesi sfregiati, case con crepe, intonaci che ancora ostruiscono il transito, perché tutto s’è fermato, una prima volta il 20 maggio, poi per lo sciame sismico, fino a quell’altra scossa del mattino del 29 maggio. Giuliano ha dormito in casa con sua moglie resistendo una settimana. Alla scossa del 29 ha abbandonato l’abitazione trasferendosi in quella antisismica del figlio.
 
La prima scossa ha colto nel sonno il paese, ma in pochi attimi tutti erano in strada. Giuliano, l’assessore, e Paolo, il sindaco, subito hanno cercato di capire dove c’erano i danni maggiori, dove bisognava intervenire, dove si dovevano transennare le strade. Con le scosse del 29 maggio si pensa all’allestimento di una tendopoli nel campo sportivo con l’aiuto della Protezione civile delle province lombarde per accogliere chi non può più entrare in casa. Tra questi lo stesso sindaco di San Giacomo. All’inizio la tendopoli ospita 400 persone, ora ne sono rimaste 180 perché dopo le verifiche di agibilità delle case molte famiglie sono rientrate. Siamo a un mese esatto dalla prima scossa e in tutti la paura è ancora a fior di pelle.
 
C’è chi ricorda quegli attimi come la peggior avventura vissuta durante tutta la vita. Chi la prende ridendo, perché dice: «Non avevo mai ballato per così tanto tempo». Ora a trenta giorni quali sono le priorità immediate per ridare vita a San Giacomo e ai suoi abitanti? «Tre sono le urgenze – secondo Giuliano –. La prima, mettere in sicurezza la chiesa e il campanile che rischiano di crollare sulle abitazioni adiacenti e così riaprire il centro ancora chiuso e far ripartire la vita nel paese con l’apertura degli esercizi commerciali. La seconda urgenza è intervenire con tempestività sulle 170 case ancora inagibili, indirizzando le famiglie senza tetto a possibili soluzioni alternative. La terza è ottenere il prima possibile l’autorizzazione per effettuare gli scavi e ricercare i presunti ordigni bellici che sono rimasti inesplosi dalle ultime guerre. Questi rappresentano un serio pericolo, perché con le scosse sismiche potrebbero esplodere».
 
Nella concitazione dei primi soccorsi erano stati ricoverati nei vari ospedali del mantovano oltre cento persone con contusioni, shock, ferite varie, ma fortunatamente non ci sono stati morti. È quasi sera, si torna dal lavoro (fortunato chi ancora ce l’ha) e da quel giorno disgraziato, chi è rimasto nella propria casa scende tra le tende per cenare con chi la casa non la può ancora abitare. Poi si parla, si condivide l’esperienza della giornata, si fa una partita a carte, si beve una birra insieme. C’è chi cucina per chi non ha il fornello, chi porta la spesa o mette a disposizione la propria auto per accompagnare alla posta o dal barbiere il signore anziano che dorme in quella tenda là.
 
E c’è anche Vanna che si lamenta perché la casa è troppo malridotta e chissà se potrà tornare a viverci. La rincuora Giuliano, assicurandole che la cosa principale è salva e cioè la vita. E con essa si può sempre ricominciare. A San Giacomo le campane non scandiscono più il lento procedere dei giorni, né tantomeno richiamano le persone alla messa. Ma ora la chiesa è la tenda e l’eucarestia viene spezzata tra questi sfollati. Quasi a significare un Cristo ancor più presente, tutti i giorni, nelle faccende di ogni uomo che qui lo invoca con più cuore e più passione.
 

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