Scuola: luogo d’incontro

Una grande festa con papa Francesco in piazza San Pietro con 300 mila persone giunte da tutta Italia. Un successo frutto di un lavoro che da anni la Chiesa italiana sta facendo per affrontare i nodi del sistema scolastico italiano: la formazione professionale, la valorizzazione dei docenti, la dispersione scolastica, la libertà di scelta educativa, la scuola come luogo di dibattito aperto. Ne parliamo con il segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino
Il segretario generale della Cei

Che tipo di manifestazione è stata quella sulla scuola e quali sono le prospettive per il futuro?

«Si è potuto arrivare ad una manifestazione come questa per quantità, ma soprattutto per qualità, solo perché l’attenzione della Chiesa per la scuola non ce la siamo inventata oggi. C’è un lavoro remoto che ha portato a questo risultato. Per il futuro andiamo verso la messa in opera di quello che il papa ci ha raccomandato ieri, soprattutto quando ha parlato della formazione come impegno a far entrare in sinergia il pensare, il sentire e il fare».

Come si fa a frenare un’emorragia di studenti che lasciano la scuola – la dispersione scolastica in Italia è al 19 per cento –, senza avere una formazione professionale e senza saper fare un mestiere?

«Il dato del 19 per cento andrebbe decodificato. Nel Sud le percentuali salgono fino al 25 per cento, addirittura al 30 e questo è un fatto molto grave. Tra i vari motivi c’è una politica cieca, perché dove le scuole professionali funzionano, di fatto, nel giro di pochi anni, assicurano l’inserimento nel mondo del lavoro. Per cui non si può marginalizzare la formazione professionale, ma ci vuole un di più di attenzione per recuperare quello che possono dare al Paese. Se poi la scuola non intercetta il perché dell’abbandono scolastico, fallisce. Anche se si sta attivando per poter porre un argine. Cosa si può fare? La scuola deve essere più accogliente, ma non mi riferisco ad aule più belle e simpatiche. Intendo dire che la scuola si ponga come una risposta seria alle attese dei nostri giovani che non la frequentano solo per imparare delle nozioni, ma per essere preparati alla vita, a coltivare i propri talenti, a definire i loro sogni. La scuola diventa tale quando fa incontrare i sogni con la realtà».

Qual è la rivoluzione che occorre per la scuola?

«Come la respirazione è fatta di sistole e diastole, a scuola si deve dare e ricevere. Vale per gli studenti e per i docenti. Nel documento dei vescovi “Educare alla vita buona del Vangelo” c’è un paragrafo molto significativo destinato alla relazione educativa. Per qualificare la sua lezione un docente deve chiedersi non solo cosa ha dato ma cosa ha ricevuto dagli studenti. Mentre il docente, finita la lezione, raccoglie i suoi libri, deve chiedersi cosa ha appreso in termini di consapevolezza, di revisione dei suoi atteggiamenti, di progettazione nuova».

Dei vari problemi della scuola, la libertà di scelta educativa, la formazione e valorizzazione dei professori, il dibattito su temi etici come il gender, quali sono le tematiche più impellenti?

«Il problema più urgente, secondo me, è la qualità del dibattito all’interno della scuola, che non può continuare ad essere il luogo dove il primo arrivato che fa la voce più grossa, o appartiene a delle lobby che condizionano in maniera chiara la cultura e l’orientamento legislativo, impone la sua linea. La scuola deve tornare il luogo d’incontro e di confronto dove tutti possano intervenire su ogni tema fornendo le proprie ragioni».

Una domanda più personale. Se l’aspettava la nuova nomina a segretario generale della Cei?

«Non me l’aspettavo anche perché non conoscevo il cardinal Bergoglio. Non gli ho mai chiesto come fosse arrivato a chiedere proprio a me di diventare segretario generale della Cei in questo momento così bello per la Chiesa. Come ho detto altre volte, bisognerebbe chiederlo a lui».

Il 19 maggio papa Francesco verrà ad aprire l’Assemblea dei vescovi italiani, cosa si aspetta?

«Il papa non viene a fare un discorso generico, viene a parlare a dei vescovi, per cui mi aspetto che il Santo padre, come sta facendo in tante occasioni, riconosca il lavoro che la Chiesa italiana sta facendo soprattutto in questi ultimi anni. È un lavoro di grande attenzione ai problemi, alle attese e le speranze che circolano soprattutto nelle teste dei nostri ragazzi. Mi aspetto che il papa incoraggi i sacerdoti, i vescovi a continuare in questa linea per intensificare la loro passione per l’uomo perché il mondo ha bisogno di una Chiesa appassionata di Cristo e dei suoi stili di vita di condivisione, di solidarietà, di vicinanza, di compagnia».

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