Religioni e politica estera

Nel mondo globalizzato, le religioni sono destinate ad avere un ruolo chiave nei rapporti tra gli stati. L'iniziativa del Dipartimento di Stato Usa e la nomina di Miguel H. Diaz, ambasciatore teologo.
Miguel_H_Díaz

Nell’autunno scorso gli Usa hanno lanciato un’iniziativa che non ha fatto molto rumore, ma che rivela quanto la religione diventi sempre più elemento fondamentale nel panorama mondiale e di come stia rientrando in ambiti da cui razionalismo, laicismo e processi socio-culturali dell’Occidente credevano di averla esclusa.

Si tratta di quello che è stato definito come Working group on religion and foreign policy, un gruppo di lavoro sulla religione e la politica estera, promosso dal segretario di Stato Americano Hillary Clinton, in un momento in cui – aveva dichiarato Maria Otero, sottosegretario per Democrazia ed Affari Pubblici –, se è necessario affrontare problemi come i cambiamenti climatici, il risveglio del mondo arabo e l’intolleranza religiosa nel mondo, è necessario collaborare con leader all’esterno delle sale dove si fa politica. 

È in questa prospettiva che la Clinton aveva lanciato nel febbraio del 2011 il Dialogo strategico con la società civile, che costituisce la piattaforma allargata all’interno della quale trova il suo posto anche il gruppo chiamato a studiare il ruolo della religione nella politica esterna. In generale l’amministrazione Obama mostra un desiderio e un impegno adeguato a trovare basi sulle quali è possibile dialogare con attivisti e operatori sociali per affrontare problemi e lavorare a finalità comuni.

L’iniziativa conferma che politica e amministrazione dei grandi Paesi del mondo si sono resi conto e hanno preso atto di un fenomeno in evoluzione ormai da anni: la religione sempre più protagonista della vita dell’uomo, non solo e non più come singolo, ma delle comunità in cui vive. Basti pensare che, nonostante quanto si dica e soprattutto si pensi, circa l’85 per cento della popolazione mondiale ritiene di avere un'affiliazione religiosa, sebbene all’interno di un ventaglio di scelte, di manifestazioni e credenze che tende ad allargarsi sempre più.

Alla guida di questo Working group è stato scelto un ambasciatore che non è un diplomatico, ma un teologo. Miguel H. Diaz, ambasciatore degli Stati Uniti presso la Santa Sede, è stato per decenni un teologo, una professione che fa parte integrante anche del suo lavoro attuale come rappresentante dell’amministrazione Obama presso lo Stato del Vaticano. Diaz ha recentemente guidato i lavori del gruppo, svoltisi presso la sede centrale del Catholic relief centre, l’agenzia dei vescovi americani per l’assistenza a Paesi poveri e popolazioni colpite da calamità naturali, a Baltimora negli USA.
 
In un'intervista al Vatican Insider de La Stampa di Torino, l’ambasciatore teologo ha sottolineato come l’obiettivo del gruppo sia quello di allargare i rapporti con le 'comunità di fede' di tutto il mondo. Si tratta di lavorare insieme: non è, infatti, possibile «aspettare che ci sia una tragedia, dobbiamo creare relazioni in modo che quando c'è una crisi, ci sia già una rete di relazioni, persone amiche a cui rivolgerci». Proprio in questo "lavorare insieme" sta una delle novità della nuova scelta del Dipartimento di Stato. Ci si rende conto dell’importanza dei rapporti e, dunque, anche della reciprocità.
 
È indubbio che la religione sia destinata a un ruolo chiave nella complessa trama dei rapporti fra gli Stati. Ignorarlo sarebbe chiudere gli occhi di fronte ai "segni dei tempi". Da anni, per esempio, i futuri diplomatici studiano le fedi dei Paesi in cui saranno assegnati e le ambasciate non parlano solo con i governi e i diplomatici, ma anche con i leader religiosi. Infatti, insiste Diaz, «i diplomatici hanno bisogno del contributo delle religioni» per ricordarsi di guardare ai «grandi ideali» e «alzare il livello degli obiettivi» al di là del quotidiano.

Nell’attuale mondo globalizzato ci si rende, infatti, sempre più conto di essere profondamente legati gli uni agli altri, come individui e come comunità. Questo riporta all’idea di essere parte dell’unica grande famiglia che è l’umanità e qui, sottolinea ancora l’ambasciatore americano, le religioni hanno molto da insegnare su come imparare a trattare il diverso non come «straniero» ma come «prossimo», «non semplicemente tollerandolo ma abbracciando la sua umanità e la sua diversità, per il bene comune».
 
 

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