Quanto consuma e inquina la mia auto?

Dati taroccati dalle principali case automobilistiche europee. Lo stabilisce un rapporto dell'International council on clean transportation
Automobili nel traffico

Quanto consuma e, quindi, quanto inquina la mia auto? Sembrerebbe un rebus di facile soluzione, ma non lo è perché le case automobilistiche danno indicazioni fuorvianti, tanto per usare un eufemismo. L’importante, anche in tempi di crisi, è vendere, costruirsi una gabbia di parametri legali con cui leggere i dati dei consumi e le conseguenti emissioni e spacciarle per autentiche. In attesa dell’auto elettrica a zero emissioni e più economica, attorno ai 5 mila euro, che sarà prodotta nel 2014 in Germania, non è nuova, in realtà, la notizia che le case automobilistiche barano per difetto sulle emissioni di Co2. Lo fanno da anni, come prassi consolidata e consuetudine, quasi una norma non scritta del diritto internazionale. Ed anche nel 2013 la tradizione è rispettata. Quindi, crisi o no, l’andazzo sembra più correlato alla natura umana e all’anima dei meglio commercianti. E più la crisi è profonda più salgono gli scarti tra emissioni dichiarate e effettive.

Un rapporto dell’Icct, l’International council on clean transportation, denuncia che «mentre la differenza tra i test in laboratorio e i risultati durante l’uso era sotto il 10 per cento nel 2001, nel 2011 aveva già raggiunto il 25 per cento». Guidano la classifica dei dati taroccati, tra il 25 e il 30 per cento, le marche tedesche: Bmw, Audi, Opel, Mercedes. Seguono a ruota Fiat, Volkswagen, Fiat e Ford, tra il 20 e il 25 per cento, e Renault, Peugeot-Citroen e Toyota con una media attorno al 15 cento. La questione delle emissioni non è marginale, perché la sensibilità dei cittadini europei verso un minor impatto ambientale è cresciuta procurando una maggiore indignazione e insofferenza verso modalità di rilevamento fuori della realtà. Per chi volesse approfondire può leggere l’intero rapporto From laboratory to road.

L’equivoco fondamentale nasce dal fatto che i test sulle emissioni sono fatti in laboratorio. La prima variabile è costituita dal guidatore e dal suo personale stile di guida che non è in ogni modo codificabile. Il dato essenziale è che lo scarto tra dati dichiarati e reali aumenta di anno in anno in ogni tipo di fonte esaminata. È ragionevole pensare che lo stile di guida, negli ultimi 10 anni non sia variato sensibilmente, mentre la discrepanza è dovuta all’uso, nei test, per esempio del dispositivo star/stop. Il 25 per cento del test, che si chiama Nedc, per determinare i consumi nell’uso urbano prevede che l’auto stazioni in sosta col motore “al minimo”. «Ma siccome ‒ spiega il sito greenMe.it ‒ quando la macchina è ferma il motore di un’auto con start/stop è spento, ecco che i valori delle emissioni di CO2 e il consumo rilevati durante il collaudo scendono drasticamente. Certo, lo start/stop è veramente utile a diminuire le emissioni, ma il risultato dei test di omologazione è chiaramente falsato».

Altri fattori che inficiano il test sono l’eccessiva possibilità di variabilità del tipo di procedure e la possibilità di effettuare il Nedc con l’aria condizionata spenta, mentre nella realtà l’uso, negli anni, è molto aumentato e così la relativa emissione di Co2. Il problema è anche economico, perché uno scarto del 25 per cento comporta una spesa maggiore di 300 euro l’anno e maggiori danni all’ambiente. La soluzione prospettata è un nuovo ciclo di omologazione, proposto dalle Nazioni unite, che tutela maggiormente i consumatori, il Wltp, che dovrebbe entrare in vigore nel 2017.

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