Quando la diversità è un dono.

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Lui, parco di parole e di gesti. Lei, estroversa e dinamica. Il tempo non sembra aver intaccato il gusto di quelle piccole attenzioni che dicono, più delle parole, lo spessore di un rapporto costruito giorno dopo giorno. Li lega, è evidente, un grande amore, che traspare da un gesto, da uno sguardo, da un cenno appena percettibile, che manifesta una profonda intesa tra loro. Ma, a parte ciò, tra il bruno Michel e la bionda Catherine non pare vi siano molti punti in comune. Lei, nata nel cuore profondo della Loira, è cattolica convinta. Lui, non credente, proviene da una famiglia di origini ebraiche, agnostica, da generazioni trapiantata in Algeria. “Sono cresciuto – dice Michel – in un ambiente familiare privo di ogni riferimento religioso. Mio nonno era affiliato alla massoneria. Ho ricevuto una rigorosa educazione secondo princìpi del rispetto, dell’onestà e della tolleranza, virtù necessarie per la convivenza tra musulmani, ebrei e cristiani algerini. Alla fine della guerra ci siamo trasferiti in Francia, dove viviamo dal 1962”. Si conoscono nel ’78, durante uno stage di specializzazione in ostetricia. La giovane Catherine, appena diplomata infermiera, frequenta con entusiasmo quel corso: a tal punto, che decide di diventare ostetrica. Michel, che dal canto suo conduce svogliatamente gli studi di medicina, trova anche lui la sua “vocazione”: diventerà medico ginecologo. E, sperimentando ogni giorno la fatica e la gioia del nascere, nascono a loro volta a sé stessi, ricchi delle loro differenze. “Lavoravamo bene insieme – ricorda Michel -: io ammiravo Catherine per le sue qualità umane. Era luminosa, solare”. “Ciò chemaggiormente apprezzavo in lui – prosegue a sua volta Catherine – era quella sua non comune capacità di ascolto, di rendersi utile in tanti piccoli servizi concreti”. E man mano che la loro amicizia si evolve, la ragazza cerca di farlo partecipe della sua vita anche fuori dell’ambiente di lavoro, nel suo impegno nel Movimento dei focolari, a cui tiene molto. In occasione di una tournée in Francia del Gen Verde, lo invita ad uno spettacolo. “Non le avevo mai nascosto le mie convinzioni, e – prosegue Michel – pensai che avesse avuto un tremendo coraggio nel ricorrere ad un “trucco” così sfacciatamenteingenuo. Mi sentii però lusingato, perché mi resi conto di quanto tenesse a me”. Dal canto suo, Catherine si interroga su questo rapporto, che ogni giorno diventa più importante. “Volevo vederci chiaro – dice – prima di prendere un impegno definitivo”. Parte per la Thailandia con una missione di Medici senza frontiere. Michel la raggiunge durante le ferie. Tutti e due si immergono nel lavoro, l’insegnamento a tante giovani future ostetriche. Si sentono ancora più vicini, uniti nella comune fatica, a contatto così stretto con una cultura tanto diversa dalla loro, ricca ed affascinante. Lui fa ritorno in Francia, mentre lei prolunga la sua missione per alcuni mesi. Si scrivono spesso. Al ritorno di Catherine, parlano di “sistemarsi” da qualche parte. Lei pensa al matrimonio, religioso possibilmente. Lui ad un impegno serio. “Ciò che propone la chiesa – dice – non andava certo contro la mia coscienza. Trovo che sia un bene per tutti e due conoscere più da vicino il movimento che animava così in profondità la vita della mia fidanzata”. Con lei partecipa ad un convegno, una Mariapoli. “Trascorsi quattro giorni a Saint-Rémy-les-Chevreuse contatto – dice Michel – con persone provenienti da tutta la Francia, così varie e diverse tra loro come mai avrei immaginato. Eppure parlavano di pace, di fratellanza. Un altro mondo!”. Il giovane medico, che non sapeva starsene con le mani in mano, si rese subito disponibile per dei piccoli servizi. Avendo la patente adatta, gli affidarono un pulmino per il trasporto delle persone al luogo di incontro. Erano… 25 religiose! Conversando con loro durante il tragitto, Michel comprese molte cose. Si sposarono nel febbraio dell’83. “Ho dovuto difendermi nel mio ambiente gauchista, spiegando – dice Michel – che io non avevo certo rinunciato a nessuno dei valori che mi animano, e che mai da parte di mia moglie c’era stata la spinta a volermi convertire. Noi ci siamo preparati seriamente a questo passo con l’aiuto di un sacerdote. Il dialogo è stato estremamente franco, impegnativo, anche se nel nostro gruppo c’erano almeno il 90 per cento di persone che la pensavano come me, erano cioè atei”. Da quando si sono sposati, Michel e Catherine vivono in un rione della periferia “rossa” parigina. Qualche palazzone in stile “staliniano” evocante un’antica grandeur si affianca a villette che sembrano uscite dalla campagna del tempo che fu. Qui abitano assieme ad Antoine, il loro bambino. Lavorano tutti e due nel consultorio familiare di zona. “Siamo coscienti del dono che questa nostra diversità costituisce per gli altri. Anche se – prosegue Catherine – non sempre è facile, perché nulla tra noi è scontato “. Forse per questo tanti vicini di casa – parigini che abitano lì da sempre, emigrati che ancora indossano il variopinto costume africano, musulmane o donne velate – si rivolgono ai Teboul anche al di fuori del consultorio. Non si sentono giudicati, esclusi. “Spesso è proprio durante il lavoro che siamo messi a confronto dalle nostre differenze, che però ci aiutano – dice Michel – nelle nostre scelte di fondo “. E Catherine:”Non si tratta mai di una scelta di campo preconcetta, ma di aprirsi al dialogo. Ed è talvolta Michel che si prende carico di tante piccole incombenze, per darmi ad esempio la possibilità di partecipare alla messa”. Ora sono tutti e due impegnati nei Focolari, per dar vita a questo dialogo con e tra persone di convinzioni diverse. Un dialogo tanto più necessario in un paese come la Francia, dove “laici” e chiesa s’affrontano da secoli.

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