Quale riforma elettorale serve nell’emergenza?

Non è una questione da lasciare ai tecnici. È in gioco la democrazia e per questo è necessaria una nuova fase costituente. Materiale per un dibattito pubblico nell’intervista a Silvio Minnetti, coordinatore nazionale del Movimento politico per l’unità
Consegna della scheda elettorale

Il Movimento politico per l’unità italiano, realtà politica nata con riferimento al carisma dell'unità del Movimento dei Focolari, ha sempre dedicato una grande attenzione alla questione della riforma elettorale che non è affatto una materia da lasciare ai tecnici, ma uno dei cardini della democrazia messa in seria difficoltà in questi anni da una normativa sui procedimenti elettivi di Camera e Senato che è stata giudicata incostituzionale dalla Suprema Corte. Esito prevedibile per un grande Paese costretto dentro una legge chiamata pubblicamente “porcellum”. Il risultato delle elezioni europee del 25 maggio probabilmente rimetterà in discussione il progetto “Italicum”, frutto dell’accordo tra il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, e il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi. Poniamo alcune domane a Silvio Minnetti, presidente del Mppu italiano.  

Cosa muove il Mppu italiano a puntare l'attenzione sulla riforma elettorale? Cosa è in gioco seriamente secondo una prospettiva di un movimento attento alle ragioni di una convivenza basata sulla fraternità?
«Il Movimento politico per l’unità, avendo fondato sulla fraternità vissuta la sua stessa esistenza, vede nel rapporto di fiducia tra elettori, partiti ed istituzioni un elemento fondamentale di una democrazia partecipativa e deliberativa. Purtroppo la lunga transizione dopo la fine della Prima Repubblica, ha aggravato il distacco tra cittadini e politica a causa della subordinazione di quest’ultima alle lobby e al potere della finanza speculativa, oltre a una diffusa corruzione nella classe dirigente a tutti i livelli, e della trasformazione dei partiti in comitati elettorali intorno a leader carismatici o presunti tali. Pensare di riformare il sistema politico solo con la legge elettorale senza una ricostruzione delle culture è stato un errore, aggravato per altro con l’estromissione totale degli elettori nella selezione dei candidati, prima eliminando la preferenza poi con liste bloccate decise dalle segreterie dei partiti. Ora, dopo la sentenza della Corte costituzionale che ha bocciato il “porcellum”, è una priorità una legge elettorale condivisa che consenta al Paese di pensare ad un ricambio di classe dirigente restituendo al cittadino arbitro il potere di scelta. La fraternità infatti comporta una iniezione di fiducia, libertà ed uguaglianza nel sistema politico costituzionale. Non è pertanto materia da lasciare ai tecnici, essendo il patto di fiducia eletti-elettori alla base della convivenza civile. La forma di governo è sempre strettamente condizionata dal sistema elettorale. In gioco è la stessa democrazia. Occorre affidare alla volontà degli elettori e non alle gerarchie di partito la scelta degli eletti».

Il riferimento esplicito all'unità possibile in politica non è un tentativo di rimuovere la complessità delle differenze per arrivare all'uniformità del più forte?
«Unità nella diversità è la risposta alla complessità del reale. La stessa esperienza del Mppu in questi 18 anni di vita dalla fondazione da parte di Chiara Lubich, dimostra che solo l’ascolto reciproco, la condivisione di obiettivi prioritari tra forze politiche diverse porta a realizzare il bene comune. Esempio recente è la battaglia nazionale Slot mob con un centinaio di movimenti ed associazioni, parlamentari e sindaci di partiti diversi, economisti civili, giovani. La legislazione si sta modificando sulla spinta delle diversità che si fanno unità. In una prospettiva storica poi l’Italia ha sconfitto il fascismo e il terrorismo nero e rosso. Il Paese è entrato pienamente nel gruppo delle democrazie occidentali e nell’Europa unita. Oggi però il nemico da battere è meno visibile, più subdolo ma altrettanto pericoloso. Si tratta delle varie forme di populismo, ovvero di semplificazioni date in pasto agli elettori senza ideali e profondi e lungimiranti ragionamenti politici. Assecondare la pancia e i sentimenti di rabbia o di paura per prendere voti: questo stiamo osservando. L’incapacità della politica di autoriformarsi genera quel vuoto occupato dai diversi populismi. Di riforme strutturali invece abbiamo bisogno insieme ad onestà personale, sobrietà come stile di vita e a formazione politica».

Cosa proponete? 
«Non possiamo rimuovere la complessità delle differenze obbligandole con artifici elettorali ad uniformarsi al più forte. Non possiamo però neanche assistere al potere di veto di piccoli partiti, spesso personali e non rappresentativi di milioni di italiani. A tutti il diritto di tribuna per esprimere un valore, una differenza nella storia del Paese. Poi serve però una democrazia governante nella tempesta della globalizzazione e dell’integrazione europea. Per questo la riforma del Senato con il superamento del bicameralismo paritario tra le due Camere, la riforma della legge elettorale condivisa tra maggioranza e minoranze con un doppio turno di coalizione possono avviare una forma di governo che dia più capacità decisionale, stabilità ed efficienza al Governo con l’autorevolezza necessaria del Parlamento e un minore disordine nella produzione legislativa. Occorre valutare in questa legislatura costituente l’impianto complessivo della revisione costituzionale per la necessaria coerenza e i vantaggi per l’Italia di un governo parlamentare razionalizzato con il rafforzamento dei poteri e delle responsabilità di chi vince le elezioni a partire dal giorno successivo alle stesse. Due schieramenti principali fondati su partiti veri, radicati sul territorio con selezione della classe dirigente e dei candidati anche con primarie regolamentate, formazioni pensanti una linea politica per i prossimi decenni e ancorate in Europa. Possiamo farcela ma non possiamo rinviare ulteriormente le scelte dopo trent’anni di veti reciproci pena il collasso istituzionale, economico e sociale dell’Italia».

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