Per una Davos degli esclusi. A Roma

L’ottimismo di facciata esibito dalle élites mondiali non ha senso. Siamo vicini al punto di rottura e diventa urgente dare ascolto agli esclusi. Come rispondere alla proposta di Luigino Bruni?
Forum economico mondiale

Secondo l’economista Luigino Bruni l’ottimismo esibito dal gotha della finanza mondiale nella Conferenza annuale di Davos, in Svizzera, non ha affatto basi solide. La bancarotta del sistema finanziario è solo temporaneamente scongiurata e il patto sociale è vicino al punto di rottura.

Gli applausi che accompagnano i moniti di papa Francesco, secondo Bruni, sono come una tragica farsa: l’incendio sta divampando e colui che grida «al fuoco!» non è un attore, ma il direttore del teatro. Che fare? L’immagine dell’incendio, che Bruni mutua da Kierkegaard, è simile a quanto osservava nel 1936 Josef Mayr Nusser davanti all’avanzata del nazismo in Europa: mentre divampa il fuoco molto bravi cristiani sono intenti a innaffiare le rose del proprio giardino. E se il giovane segretario dell’Azione cattolica di Bolzano scrisse le ultime lettere alla moglie mentre moriva in un carro bestiame per aver rifiutato di arruolarsi nelle SS, come si può esprimere oggi il dissenso da un sistema economico autodistruttivo e intimamente antidemocratico come è descritto da Bruni, che cita il grande economista Federico Caffè?

Nella lucida analisi del 1998 sulle conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita delle persone, Richard Sennet racconta di aver avuto “come un’epifania” proprio a Davos, mentre ascoltava «i signori del regno della flessibilità» che fanno della irrilevanza della vita degli altri, la propria fortuna: «Mentre mi aggiravo nel groviglio di limousine e poliziotti lungo le ripide strade del paesino, mi sembrò di capire che questo regime potrebbe perdere la presa che ha attualmente sull’immaginazione e sui sentimenti di chi si trova in basso»: tutto può partire dal pronome pericoloso, quel “noi” che comincia dal riconoscere il volto dell’altro davanti al quale non si abbassa lo sguardo. Come rispondere oggi alla pervasività di quel sistema oscenamente esibito nel recente film di Martin Scorsese sul “lupo di Wall Street”?

La Roma di papa Francesco può essere lo spazio dove, come spera Luigino Bruni, «i poveri e i Paesi periferici esclusi da Davos possano raccontare altre storie su questo capitalismo finanziario con i politici e i potenti seduti silenti ad ascoltarli»? L’alternativa è la Roma sontuosa, decadente e nichilista raccontata da Paolo Sorrentino ne “La grande bellezza” dove non esiste l’odore delle metropolitane, dei treni affollati e delle periferie. Come diceva Bernanos, il mondo (il sistema) non sa che farsene dei bravi ragazzi.

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