Per grazia ricevuta

Un gioiello della zona vesuviana: il Museo degli ex voto del santuario della Madonna dell’Arco
Il santuario della Madonna dell'Arco a Sant'Anastasia

È un dato di fatto che, se nelle grandi città i confessionali delle chiese sono spesso vuoti, nei santuari invece, specie quelli mariani, si assiste ad una affluenza talora imponente dei fedeli ai sacramenti sia della penitenza che dell’Eucaristia. La religiosità popolare, anche se a qualcuno può far storcere il naso per certe sue manifestazioni, sembra non soffrire crisi, pur in tempo di società scristianizzata.

Con in mente una frase di papa Francesco – «L’amore per la Madonna è una delle caratteristiche della pietà popolare, che chiede di essere valorizzata e ben orientata» – ho fatto una puntata a Santa Anastasia, comune vesuviano dove sorge il terzo santuario per importanza della Campania dopo quelli di Pompei e di Montevergine, nell’Avellinese: intitolato alla Madonna dell’Arco, vi fanno riferimento oltre due milioni di fedeli, di cui una consistente parte costituita da emigrati.

Inimmaginabile è, ogni anno, il fermento del lunedì in albis, quando il santuario diventa meta di circa duecentomila pellegrini, il che mette a dura prova l’organizzazione predisposta dal comune di Santa Anastasia e dai padri domenicani, custodi del tempio fin dalle sue origini. In questa festa piena di colore e di movimento spicca il folto gruppo dei cosiddetti “battenti” (coloro che durante la settimana santa si flagellano il corpo), di cui fan parte i “fujenti” (coloro che corrono) dal tipico costume bianco con fascia rossa e celeste, i quali arrivano dalle varie località della Campania saltellando e a passo di corsa, tra canti e sventolio di stendardi: un modo per esprimere la celere risposta al richiamo della Vergine.

Nei confronti di questi devoti a volte fin troppo esuberanti c’è chi non manca di esprimere delle perplessità. Eppure si tratta di espressioni di sincero amore verso la Madonna, sentita vicina, una di loro: non per nulla il dipinto, di schietto sapore popolare, la raffigura come una donna comune piuttosto che come una regina, anche se la corona non le manca.

La nobile facciata tardo cinquecentesca della chiesa, la slanciata cupola e il campanile s’impongono alla vista già appena usciti dalla stazione della Circumvesuviana, in fondo a un viale in discesa. Le sorgono accanto il convento dei padri domenicani ed altri edifici più recenti che ospitano un centro studi, un centro pellegrinaggi, una biblioteca, una casa per anziani, un museo: quasi una cittadella sacra, sopravvissuta chissà per quali circostanze provvidenziali ai terremoti e alle eruzioni così frequenti in queste zone.

Entro nella chiesa: armoniosa, nitida per recenti restauri, affollata di fedeli (è in corso una messa). Punto focale, al centro della crociera, l’edicola barocca che custodisce la venerata immagine della Madonna la cui guancia sanguinò, colpita dalla boccia di un giocatore blasfemo. Dicono la gratitudine per la grazia ottenuta suo tramite, descrivendo in una scenetta l’episodio che ha dato luogo all’intervento divino, le innumerevoli tavolette votive di varia epoca che tappezzano le pareti attorno: e sono solo una parte delle migliaia accumulatesi nel tempo, le più rappresentative delle quali esposte nel Museo degli ex voto. Testimonianza commovente di una devozione che abbraccia cinque secoli, esse costituiscono nel loro genere la collezione più importante d’Europa: un patrimonio di grande valore anche solo sotto l’aspetto antropologico, storico, di costume.

Di grande suggestione è la visita al Museo. Quattro le sale espositive di questa struttura allestita in occasione del Giubileo del 2000. Visitando la sezione degli ex voto pittorici (altre sezioni riguardano i velieri, l’oggettistica, le stampe e i preziosi), scopro che essi venivano commissionati a botteghe artigiane specializzate nella produzione in serie di oggetti relativi alla religiosità popolare. Erano site per lo più in via San Gregorio Armeno a Napoli (la via dei presepi!), e i dipinti ivi prodotti hanno un tratto di ingenuità infantile. La più antica tavola risale al 1499. Varie sono le tecniche di esecuzione: dei 688 esemplari più antichi e anche più belli, risalenti al Cinquecento, 542 sono in legno e 146 di carta incollata su tavola lignea. Sin dall’inizio del Seicento al legno come supporto si aggiunge la tela, la quale ha una netta prevalenza nel Settecento (epoca delle composizioni più aggraziate) e nell’Ottocento. In seguito si registrano altri materiali: vetro, stagno, zinco e cartone, mentre nel Novecento fanno la loro  comparsa il compensato, la masonite, la maiolica, la seta e la pergamena.

Molto spesso gli ex voto di epoca più antica sono contrassegnati da sigle come V.E.G.A o V.E.G.R. (votum feci et gratiam accepi o recepi), dipinte in un cartiglio. Talora gli eventi che hanno dato motivo al voto (fatti avvenuti nei secoli scorsi, particolari attinenti la storia della medicina e chirurgia, della marineria e agricoltura, vicende private e pubbliche) sono spiegati con una didascalia, aggiungendo il nome e cognome del “miracolato”. Sfilano davanti agli occhi episodi di brigantaggio, calamità naturali, cadute da carri agricoli, estrazioni di denti, naufragi, supplizi di condannati, incidenti di caccia o sul lavoro, e chi più ne ha più ne metta. E arriviamo a oggi: il fenomeno non ha subìto flessione di sorta. Piuttosto, accanto alle tradizionali scenette dipinte, l’epoca in cui viviamo è rappresentata spesso da siringhe e caschi evocanti libertà dalla droga e incidenti di moto. Cambiano modalità di vita, a volte circostanze di infortuni, ma identico rimane l’affidarsi a Maria.

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