Pena di morte ai quattro violentatori

I giovani che hanno usato violenza nei confronti della ragazza, morta a seguito di questa aggressione, sono stati condannati alla pena capitale. Soddisfazione nell'opinione pubblica, ma la Chiesa cattolica prende le distanze dalla sentenza e chiede un maggiorl riconoscimento del ruolo femminile
India

C’era molta attesa a Delhi e in altre parti dell’India per la sentenza definitiva nei confronti dei quattro giovani condannati alcuni giorni fa per lo stupro della giovane indiana, che, nel dicembre scorso, era, poi, deceduta a causa delle violenze subite.

La pena di morte era nell’aria a causa, soprattutto, delle manifestazioni che si erano ripetute per giorni e giorni nelle metropoli indiane e che chiedevano misure più strette e procedure immediate contro coloro che erano accusati di violenza sulle donne. Il Giudice Yogesh Khanna nel pronunciare la pena capitale ha sottolineato come “l’atto sia stato di una gravit inumana che non può essere tollerata in alcun modo. Tutti e quattro i colpevoli sono, quindi, condannati alla pena capitale.”  Il tribunale, hanno sottolineato i giudici, “non può ignorare la violenza e la crudeltà dell’atto” e questo giustifica per la legge indiana il massimo della pena prevista. In effetti, i giudici hanno ammesso che “con la violenza contro le donne che sta crescendo di giorno in giorno il tribunale non poteva chiudere gli occhi.”

La madre della ragazza, deceduta a causa della violenza di gruppo, si è detta soddisfatta della decisione dei giudici. I genitori e due fratelli della giovane erano presenti alla proclamazione definitiva della condanna. I giudici difensori hanno dichiarato che ricorreranno in appello presso l’Alta Corte di Delhi.

La proclamazione della sentenza è stata accolta con applause scroscianti sia all’interno dell’aula che all’esterno.

Intanto, la Chiesa cattolica ha preso le distanze dalla sentenza. In una dichiarazione rilasciata a AsiaNews, mons. Dominic Savio Fernandes, presidente della Commissione per la famiglia e le donne e della Commissione per la vita umana dell'arcidiocesi di Mumbai, ha dichiarato che "la pena di morte non è e non può mai essere una soluzione, anche se molte persone credono che essa rappresenti un deterrente per eliminare del tutto crimini così brutali in futuro. Ma la nostra esperienza ci dice che non è così. Avrei preferito una sentenza di ergastolo, perché avrebbe dato loro l'opportunità di comprendere la gravità di quanto fatto a quella ragazza e l'umanità intera".

"Nel contesto indiano – nota il vescovo – c'è senza dubbio un pesante pregiudizio contro le bambine e le donne, che ha inizio in famiglia e poi si diffonde nella società. Le bambine sono ancora percepite come un peso in molte zone del nostro Paese e le donne sono considerate esseri umani inferiori. Dobbiamo sfidare questa mentalità e cambiarla". In tal senso, egli spiega, l'arcidiocesi "ha già iniziato programmi di sensibilizzazione sull'uguaglianza di genere, che portiamo nelle scuole e in altri contesti formativi". 

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