Ora è tempo di riformare l’Europa

Pasquale Ferrara, segretario dell’Istituto universitario europeo, analizza i numeri della consultazione elettorale nei Paesi dell'Unione e individua le priorità del nuovo Parlamento: investimenti su una rete del gas e su una banda larga comune, mentre l’asse Parigi-Berlino si frantuma per la vittoria del partito di Marine Le Pen
Parlamento di Bruxelles

I dati delle elezioni europee parlano di una sostanziale tenuta dell’Unione europea: la gente ha votato a favore del processo di integrazione dei vari Paesi anche se non vanno sottovalutati i segnali di scetticismo espressi da più partiti che ora avranno una maggior base rappresentativa all’interno del Parlamento. Abbiamo chiesto un’analisi a Pasquale Ferrara, segretario dell’Istituto universitario europeo.

Come commenta i risultati delle urne?

«Il primo dato che emerge in modo strutturale è che è venuto meno l’asse franco-tedesco, finora motore dell’Europa, perché la Germania ha retto e le forze al governo si sono affermate bene anche con l’avanzata di alcuni movimenti antieuropei, mentre in Francia c’è stato un vero e proprio crollo con risultato sorprendente del movimento Marine Le Pen, primo partito. Questi risultati sanciscono un processo già in atto e cioè che la Germania diventa, assieme all’Italia, l’unico riferimento saldo per la tenuta della stessa area euro e della comunità europea. In questi due Stati c’è stata la solida conferma di chi vuole riformare l’Europa, sostenendola e non lavorando per la sua disintegrazione».

Come sarà la convivenza in Parlamento tra chi sostiene il processo di unificazione europea e chi sta dalla parte degli euroscettici?

«Sarà una legislatura interessante perché si avranno 200 parlamentari, cosiddetti euroscettici, ma tra di loro ci sono tanti distinguo perché abbiamo movimenti estremamente critici verso l’Europa come Syriza di Tsipras che però non preconizzano la distruzione dell’euro e dell’eurozona; poi abbiamo altri a favore dell’uscita dall’euro o dell’arresto del processo di integrazione,come ad esempio Ukip in Gran Bretagna, dove si vuole chiaramente mettere fine al rapporto con l’Unione europea. Tra l’altro proprio i britannici nel 2017 saranno chiamati ad esprimersi con un referendum se restare o meno nella Ue. Poi negli altri Paesi ci sono movimenti nazionalisti e non solamente antieuro, o come in Italia che sono antieuro e secessionisti, vedi la Lega. Trovare un punto di convergenza tra tutti questi partiti non sarà certamente facile. Il nuovo Parlamento sarà caratterizzato sicuramente da una grande coalizione tra i popolari e i socialdemocratici inserendo anche liberali e verdi».

Se dovesse indicare un’agenda al nuovo Parlamento, da dove partirebbe?

«Fermo restando che nell’attuale sistema, il Parlamento continua a non fare proposte legislative, che spettano alla Commissione, quello che si insedierà avrà compiti fondamentali anche a tal proposito. Anzitutto, a mio parere, dovrà decidere se avviare o meno un processo di investimenti a livello europeo in maniera molto concreta. Faccio due esempi. Dovrà decidere se creare un sistema di interconnessioni delle reti del gas, cosa che al momento non esiste e che di conseguenza fa aumentare gli sprechi, fa aumentare la nostra dipendenza dalla Russia di Putin, mentre una rete interconnessa garantirebbe un progetto paneuropeo con effetti positivi anche sulle bollette dei cittadini. Altra area di investimento sarà quella della banda larga europea poiché ora è più a macchia di leopardo che continuativa. Poiché il futuro dell’economia si giocherà molto sulla capacità di innovazione, sulle nuove tecnologie, sul commercio elettronico oltre che sulle possibilità partecipative offerte dalla Rete, si dovrebbe avviare un processo in questa direzione. Si deve intervenire in vari settori strutturali dell’Europa».

Quali previsioni ci sono per il nuovo presidente della Commissione europea?

«L’aver presentato dei candidati come coalizione politica è stata, in qualche modo, una forzatura dei Trattati che affidano ai capi di Stato e di governo la nomina del capo della Commissione, tenendo conto dei risultati delle elezioni, che li obbligano moralmente ma non formalmente. Immagino si troverà una soluzione che nella sostanza rispetti il risultato delle urne e cioè la vittoria di fatto del Partito popolare, ma magari non sarà la presidenza e si valuterà la ripartizione delle nuove responsabilità e delle nuove cariche perché da nominare ci saranno anche il presidente del Consiglio europeo e il rappresentante per la politica estera. Gli incarichi saranno definiti da un accordo inter-istituzionale tra Consiglio degli Stati e Parlamento».

Alcuni Paesi europei si sono espressi contro l’Unione, l’Ucraina che sta fuori si è invece espressa in maniera positiva. Cosa succederà con la Russia?

«Il Parlamento continuerà ad avere, come ha fatto finora, una voce critica verso la Russia di Putin e perorerà la causa dell’allargamento dell’Unione con qualche prudenza verso l’Ucraina perché forse, in questo caso, ci si è spinti troppo in là. Magari i Paesi al limite tra due aree molto influenti come Ucraina e Georgia potranno esprimere posizioni favorevoli all’Europa occidentale e non magari una vera e propria adesione: certo,i rapporti vanno rimodulati senza che questo significhi subire i diktat di Mosca,ma piuttosto tener conto della realtà storica, politica e culturale di questi Paesi».

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