Nati al tempo della crisi

Una generazione con abitudini in pieno stile low cost. Come vivono i trentenni di oggi. Dalla rivista Città Nuova n. 22/2014
car sharing

Dormono in aeroporto aspettando il primo volo all’alba per non pagare la notte in albergo; acquistano online dopo aver cercato il miglior prezzo disponibile; frequentano i mercatini  dell’usato; prediligono fare ricorso al car sharing, l’auto condivisa, piuttosto che acquistarne una propria; condividono oggetti e servizi per risparmiare sui costi; usano la bici per rispettare l’ambiente. Li chiamano i “Millennials”, quelli nati dopo il 1980 e dunque cresciuti ai tempi della crisi.

I loro genitori non sempre li capiscono, abituati come sono (o come erano) alla casa e alla macchina di proprietà, alle vacanze lunghe una volta l’anno, ai mobili acquistati una volta per sempre, ai capi di abbigliamento di qualità. Dati Doxa dicono invece che in Italia il

mercato dell’usato ha raggiunto il 44 per cento della popolazione e un giro d’affari di 18 miliardi di euro.

È chiaro, non sono solo i trentenni ad alimentare tale mercato, né tutti i trentenni vi fanno ricorso, ma una buona fetta di esso è sicuramente composta da loro.

Una generazione, quindi, con caratteristiche abbastanza definite, che abbiamo cercato di capire con Silvia Cataldi, ricercatrice in Sociologia all’Università di Cagliari.

 

Cosa ha di diverso dalle generazioni precedenti chi è diventato adulto al tempo della crisi?

«Siamo cresciuti anche noi con il mito del posto fisso, come i nostri genitori, e nello stesso tempo, però, cerchiamo di avere a che fare con un mondo diverso che ci chiede di valorizzare il proprio titolo di studio mettendoci dentro un po’ di creatività. C’è la consapevolezza che ciascuno di noi si deve in qualche maniera creare il posto di

lavoro, che sia fisso o no: bisogna mettere in moto la passione che si ha per trasformarla in una possibilità lavorativa.

Riguardo allo stile di vita possiamo rilevare che i nati nel periodo della crisi non sono tanto propensi al possesso delle cose, ma al loro uso. Ad esempio di fronte alla necessità di una macchina ci si interroga se acquistarla oppure ricorrere al car sharing, c’è l’idea di rinunciare ad avere una macchina propria non solo per i costi ma anche per una questione ecologica».

 

C’è anche la tendenza ad avere beni condivisi in misura maggiore…

«Sì, ci sono dei risultati che confermano tale senso di marcia. Ad esempio, cresce fra i giovani la tendenza ad avere degli abbonamenti condivisi per il wifi, mettendosi insieme gli abitanti di due o tre appartamenti. È una tendenza interessante sicuramente influenzata dalla crisi in corso».

 

Quanto ha influito sulla vita di tutti i giorni lo stile low cost?

«Sicuramente il low cost nel settore  aereo ha influito su una mobilità maggiore rispetto alle generazioni precedenti che si concedevano solo qualche viaggio, ha determinato un tipo di turismo sempre più fugace, una maggiore conoscenza delle capitali europee e quindi ha contribuito all’integrazione. Penso che abbia influito non solo sugli stili di vita, ma anche a livello civico, di costruzione e assunzione di una cultura europea. Ci sono persino alberghi

low cost, una catena nata ad Hong Kong e poi arrivata anche in Europa, in cui tu puoi partire da un’offerta base – solo la camera a cui si può aggiungere il bagno, il riscaldamento… –. È proprio una mentalità diversa, cioè quella di avere il servizio base senza gli accessori».

 

È uno stile di vita che produrrà una società diversa?

«Penso proprio di sì. Intanto questo ci aiuta a scoprire l’importanza dell’altro. E poi si introducono nel pensare collettivo temi quali la sobrietà e la sostenibilità ambientale.

Ad esempio, sta prendendo piede in Italia l’utilizzo delle bici: una scelta più economica ma anche più umanizzante perché favorisce le relazioni interpersonali, permette una diversa strutturazione dei tempi e dei rapporti. Questo può incidere anche sulla dimensione urbana delle città. Può sembrare un ritorno al passato, ma forse è un’innovazione che rende più attraenti alcune città piuttosto che altre, un nuovo modo di affrontare il post-capitalismo».

 

Processo irreversibile?

«Ritengo che non esista una linea retta dello sviluppo, si registrano momenti di arresto da cui può nascere qualcosa di nuovo; mi sembra che non manchino segnali in tal senso».

 

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