L’unità, gloria di Roma

La sala Giulio Cesare in Campidoglio ha visto riunirsi persone di ogni tipo. Diversi popoli, religioni, culture ed età unite da un “grazie”.
campidoglio

«La gloria di Roma era l’aver unito il mondo, e il personaggio simbolo di questa gloria era Giulio Cesare. Ma guardate per chi lavora lui adesso…». Il rabbino Shevack ha scherzato così sul fatto che l’imponente statua di Giulio Cesare nella sala del Campidoglio sia posta sotto ad un quadro della Madonna, quasi ad indicare una gerarchia di potere tra i due. Ma al di là delle battute, nella manifestazione per il secondo anniversario della morte di Chiara Lubich si potevano davvero cogliere numerosi segni di questa unità.

 

Uno sguardo alla sala lo confermava. Tra le giacche e le cravatte delle personalità presenti spuntava anche il turbante di qualche sikh. E se, come diceva Shevack, «ora non vedo più i colori», chi invece ancora li vede avrebbe potuto notare diversi africani e asiatici. «Io sono musulmano, il rabbino qui accanto a me è ebreo, ma immagino tra di voi ci siano anche alcuni cristiani…» ha ironizzato l’imam Pasha. E sempre osservando bene, si poteva notare qualche bambino addormentato in braccio alla mamma, così come ragazzini, giovani e anziani. Un mosaico di popoli, religioni ed età, che la sala Giulio Cesare probabilmente non vede spesso tra un consiglio comunale e l’altro.

 

A conti fatti, tra chi è riuscito ad entrare in sala e chi ha seguito l’evento sui maxischermi, in Campidoglio sono arrivate oltre mille persone. Una folla allegra che – in una città come Roma in cui, dicono in molti, la puntualità non è proprio di casa – ha iniziato ad animare il colle già due ore prima dell’inizio. In fondo, si è sempre ansiosi di fare festa: e anche il fatto che gli interventi dei relatori fossero incentrati su ciò che il carisma di Chiara Lubich ha lasciato più che su un ricordo fine a sé stesso non ha fatto che confermare l’importanza del “popolo” che è nato dietro alla fondatrice dei Focolari, e che non è meno vivo senza la sua presenza fisica.

 

La parola che più esprime questa giornata, forse, è “grazie”: manco si fossero messi d’accordo, la maggior parte delle persone presenti ha sintetizzato nella gratitudine alla Lubich il significato del proprio essere lì. Anche su Facebook circolano posto che dicono “Grazie Chiara”: e anche noi, da Città Nuova, non possiamo che unirci.

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