Lobby di potere e forza della comunità

Intervista a don Armando Zappolini, portavoce della campagna “Mettiamoci in gioco”. Capire il fenomeno, i poteri e le sfide per uscirne fuori insieme
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Nell’Italia alle prese con la crisi e le sentenze dei processi clamorosi, è giunta la notizia dell’arrivo su volo privato da Santo Domingo di Francesco Corallo, definito, a ragione, re delle slot machine e latitante dal maggio del 2012 per un’accusa di corruzione.

La decisione di costituirsi, da parte del titolare della Bplus Giocolegale ltd (già Atlantis), che vanta un giro d'affari di 30 miliardi di euro l’anno, potrebbe aprire nuovi scenari giudiziari sul fronte del fenomeno dilagante del gioco d’azzardo, che ha visto in prima linea, fin da subito, l’azione di contrasto di associazioni e movimenti che hanno promosso la campagna “Mettiamoci in gioco”.

Ma per quale motivo la grande stampa, con l’eccezione di Avvenire, ha disertato la presentazione, a suo tempo, del lancio di questa iniziativa che pure vede impegnate, in prima fila, importanti associazioni nazionali?

Cerchiamo di comprendere il senso di questo impegno, che tocca uno dei punti sensibili della società, ponendo alcune domande a don Armando Zappolini (nella foto in basso), presidente del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (Cnca) e portavoce della campagna “Mettiamoci in gioco”, che vede assieme una pluralità di soggetti: Acli, Adusbef, Alea, Anci, Anteas, Arci, Auser, Avviso Pubblico, Cgil, Cisl, Cnca, Conagga, Federconsumatori, FeDerSerD, Fict, Fitel, Fondazione Pime, Gruppo Abele, InterCear, Libera, Shaker – pensieri senza dimora, Uisp.

La richiesta di una regolamentazione più rigida del gioco d’azzardo non può essere tacciata di proibizionismo? In fondo si dice che la diffusione dell’azzardo legalizzato abbia ridotto lo spazio di quello clandestino portando soldi alle casse dell’erario. Perché tornare indietro?
«Nessun proibizionismo. La campagna “Mettiamoci in gioco” non propone l’abolizione del gioco d’azzardo. Bisogna piuttosto uscire dal far west nel quale questo settore è cresciuto, in modo del tutto incontrollato, causando danni sociali e personali pesanti. Un aumento vertiginoso del numero dei giocatori, che non ha quasi eguali in Europa e nel mondo, una crescita significativa delle persone in condizione di dipendenza o grave rischio (si stima tra 800 mila e un milione), uno spreco di soldi ingente da parte soprattutto dei ceti più deboli, più sensibili alle sirene della “vincita facile”.

«Ma anche un’infiltrazione mafiosa ben presente nel business legale, un aumento del ricorso all’usura per coprire le spese e i debiti del gioco, una crescita di separazioni e divorzi causati proprio dalla dipendenza dall’azzardo. E i giornali danno conto quasi ogni giorno di episodi drammatici, come il giovane di Ischia che si è suicidato per la vergogna di aver perso soldi al gioco. Una situazione sempre più grave, dunque, che non si può liquidare limitandosi a citare le entrate per lo Stato, oltretutto piuttosto contenute rispetto alla massa di soldi che questa industria muove.

«Ma anche pensando solo al fisco, la campagna ha presentato un primo studio che stima tra i 5,5 e i 6,6 miliardi di euro i costi per la collettività provocati dal gioco d’azzardo. Tutte le conseguenze negative, che citavo prima, infatti, hanno un costo economico, sociale, sanitario. E il gioco d’azzardo clandestino non è affatto scomparso. Perciò, a nostro avviso, il bilancio è in rosso: la collettività e lo Stato ci perdono. E tanto».

Il precedente ministro della Sanità, Renato Balduzzi, ha cercato di emettere un decreto restrittivo della diffusione del gioco d’azzardo, cosa ha frenato l’impianto originale del suo intervento?
«La lobby dei concessionari dei giochi ha bloccato quasi tutto. Lo stesso ministro Balduzzi si è lamentato pubblicamente per provvedimenti che cambiavano nel volgere di una notte… È chiaro che questa lobby è potente perché ha molti amici, sparsi un po’ dovunque. La campagna, ad esempio, ha presentato un dossier sul rapporto tra i concessionari dei giochi e la politica (si può leggere sul nostro sito insieme al dossier sui costi sociali e sanitari dell’azzardo). Le lobby finanziano tanti soggetti, alcuni in modo continuo e ingente. Difficile poi dire di no».

Esistono già diverse proposte di legge sulla regolamentazione dell’azzardo. In cosa si differenzia la campagna “Mettiamoci in gioco”? Quali ostacoli esistono e come si sta muovendo, a vostro parere, il governo di larghe intese?
«La campagna ha presentato il 9 luglio alcuni punti che dovrebbero costituire la struttura portante di una legge di regolamentazione del gioco d’azzardo. Diversi di questi punti coincidono o sono molto simili a quelli presenti in altre proposte. Il nostro obiettivo non è tanto quello di stabilire i contenuti della legge, ma di fare pressione perché a questa legge – a una legge seria e rigorosa – finalmente si arrivi. Finora poco e nulla si è mosso a livello legislativo proprio per la forza della lobby. E l’affidamento della delega sul gioco d’azzardo al sottosegretario Alberto Giorgetti, tra i protagonisti della crescita sregolata del fenomeno, è una macchia grave per il governo Letta. Ma siamo fiduciosi. Le cose stanno cambiando, anche se lentamente. L’allarme cresce, sempre più politici decidono di schierarsi contro il gioco, vengono approvate leggi regionali e provvedimenti comunali, è nato un intergruppo parlamentare per arrivare a regolamentare il gioco d’azzardo, si moltiplicano le iniziative di istituzioni e società civile. I cittadini devono essere consapevoli che una loro mobilitazione può aiutare tutto questo, può davvero cambiare le cose».

Come rispondere a chi afferma che il vero problema consiste nella condizione disperata delle famiglie più vulnerabili per la crisi economica e che quindi bisogna intervenire più sulle cause strutturali che sugli effetti deleteri come la diffusione del gioco d’azzardo? Con nuove leggi più restrittive non si toglierà lavoro a migliaia di addetti del settore?
«E le pare che le comunità di accoglienza, le tante strutture del terzo settore, dei sindacati, ma anche gli enti locali non siano d’accordo sul fatto che alla disperazione diffusa si debba dare una risposta diretta? Ma questo non significa che, intanto, lasciamo che la gente si rovini giocando, sedotta da un vero e proprio bombardamento pubblicitario, ai limiti dell’ingannevole, quando non del tutto menzognero, che abbindola i più deboli. Non vogliamo togliere il lavoro a nessuno, ma anche i gestori devono essere responsabili e responsabilizzati, perché qui sono in gioco aspetti molto delicati e non solo slot e premi».

Oltre all’adozione di norme che possono ristabilire un equilibrio di poteri tra cittadini, comuni e società concessionarie del gioco d’azzardo, come intervenire per cambiare la mentalità che conduce alla solitudine disperata dell’azzardo patologico?
«È cresciuta nel nostro Paese una mentalità che cerca nel colpo di fortuna, nello “svoltare”, la risposta a problemi personali e sociali spesso enormi. Più d’uno ha favorito questo approccio, del tutto “impolitico” e individualista. Mentre dobbiamo tornare a insegnare alle persone che dai problemi “se ne esce insieme” e che le questioni sociali non sono la sfortuna o la colpa di qualcuno, ma chiamano in causa tutto il modo di funzionare del sistema sociale ed economico. Dobbiamo ricreare comunità in cui ci siano responsabilità e solidarietà. Che sono cosa diversa dalla massa atomizzata abbacinata dalle luci della tv e dalle vacanze per sempre».

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