L’Intelligenza artificiale è vera intelligenza?

Se le macchine sono prive di intenzionalità e capacità critica, bisogna sempre verificare quello che ci propongono, prima di usarlo.

L’intelligenza è pensare critico. È probabile che la storia annovererà la cosiddetta “intelligenza artificiale” tra grandi invenzioni che hanno rivoluzionato il mondo come la stampa, la macchina a vapore, l’elettricità o le trasmissioni radio. Né può trattarsi di una novità effimera se ha suscitato l’attenzione del più alto Magistero della Chiesa.

Ma l’intelligenza è pensare critico. Nessun sistema informatico, nessuna rete o bigdata può dirsi “intelligente” se non è capace di pensiero critico. Un computer o una rete, un sistema di computer non possono sapere cosa stanno facendo: non potranno mai essere “intelligenti”.

Per ammissione stessa dell’autore, il nome “intelligenza artificiale” fu dato casualmente ed è sbagliato; John McCarthy, introdusse l’espressione nel 1956 intendendo qualcosa, com’ebbe a dire, di molto generico. Nel 1968 Pablo Picasso sentenziava: “Non serve a niente un computer se è in grado solo di dare risposte (e non sa far domande)”.

Era  l’epoca degli IBM 360, era l’anno in cui Robert Noyce e Gordon Moore fondavano la Intel che costruiva slot di memoria; nessuno poteva immaginare che sarebbero esistiti i PC, le reti, il web ed i robot; i “big data” ed il machine learning erano sogni, erano fantascienza pura. Eppure il quesito che Picasso poneva resta profondissimo e tuttora quantomai valido.

Computer, in inglese, come computadora in spagnolo, vuol dire alla lettera calcolatrice. A fine anni ’80, ai tempi della nostra “alfabetizzazione” dinanzi ad un computer, gli informatici, per farci uscire da sogni fantascientifici e metterci con i piedi per terra, ci insegnavano che il computer è uno “stupido veloce”; non è altro, cioè, che una potente calcolatrice in grado di svolgere operazioni (molto semplici) ad una velocità straordinaria, pazzesca: ma nulla di più.

Dunque non lasciamoci illudere dalla parola “intelligenza” che, ripetiamo, per ammissione dell’autore stesso fu usata quasi a caso. Usciamo dalla suggestione ed anche dalla soggezione che la parola può indurre: i computer, anche grandi sistemi di computer sono “stupidi”, essendo, in fondo, nient’altro che veloci, potentissime calcolatrici, comunque sempre prive di qualsiasi intenzionalità. Sono strumenti silenziosi ed infaticabili, insostituibili, in grado di fare lavori che l’uomo non sarebbe mai capace di fare con i suoi soli mezzi; ma  i computer non saranno mai realmente capaci di ragionare, di pensare criticamente.

I sistemi di intelligenza artificiale stanno ora facendo esperienza, stanno “imparando” (machine learning); i loro outcome, prodotti da calcoli più sofisticati, diventeranno più attendibili di oggi. Ma la sensazione è che dovremo sempre verificare ciò che è prodotto da un computer, così come oggi ci tocca verificare il testo di ogni traduzione fatta dal più fedele dei traduttori online; così come controlliamo, sottoponendoli alla nostra approvazione, gli itinerari che, pur con molti dettagli, ci propone un navigatore satellitare.

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