L’eroismo civile e discreto di Pina Maisano Grassi

Minuta, ironica, resistente, appassionata dei giovani e mai retorica, la vedova dell’imprenditore palermitano Libero Grassi, assassinato dalla mafia nel 1991, ne aveva raccolto il testimone nel nome della libertà, del lavoro e della legalità: le sue tre L
Pina Grassi

Una donna d’onore. E non uso a caso questa notazione per Pina Maisano Grassi, vedova dell’imprenditore Libero Grassi e scomparsa a Palermo all’età di 87 anni. Non è un’espressione irriverente quella che ho scelto. Credo che l’avrebbe definita così anche uno dei nostri collaboratori, Roberto Mazzarella, amico anche del marito Libero Grassi, assassinato dalla mafia il 19 agosto 1991 per aver denunciato il pizzo.

 

Roberto usava spesso l’espressione "uomo e donna d’onore" per sottrarli al dominio linguistico di Cosa nostra, ladra anche delle parole più sacre della cultura siciliana e che ora nel vocabolario mafioso avevano assunto la spregevole connotazione di affiliato. Uomo e donna d’onore erano, per lui, persone fedeli a un ideale che costruisce legami sani, comunità, nel rispetto dei doveri e dei dolori che comporta ogni convivenza sociale, senza per questo sottrarsi al sacrificio e al prezzo che ogni scelta coerente comporta.

 

Pina è stata una donna d’onore fino all’ultimo respiro. L’ho incontrata spesso durante i miei anni palermitani e raramente in prima fila, se non quando le autorità la obbligavano o quando nei suoi pochi anni da parlamentare per i Verdi rappresentava quello Stato che nel 1991 aveva lasciato solo suo marito: una solitudine dolorosa e cruda che aveva sperimentato sulla sua carne, che aveva fatto chiudere i battenti dell’azienda e che mai più avrebbe permesso ad altri nella sua stessa situazione di sperimentare. Mai più.

 

La ricordo un 29 agosto, la data dell’omicidio di Libero, presenziare al premio intitolato a lui dalla cooperativa Solaria a partire dal 2004. Protagonisti erano gli studenti delle scuole che in musica, disegni, video dichiaravano il loro no alla mafia. Pina chiudeva con brevi parole la manifestazione, preferiva non imporsi e spesso raccontava episodi, fatti della sua vita con Libero e della sua quotidianità. Niente retorica. Ai testimoni non appartiene: in loro parla la vita. Anche in una delle sue ultime interviste, in cui gli era stato chiesto un ricordo di Marco Pannella, da poco deceduto, aveva raccontato un episodio strappando un sorriso all’intervistatore e ai lettori: «In vacanza a Parigi, un giorno troviamo sul parabrezza dell'auto un messaggio di un tale Marco, un italiano che si diceva in difficoltà economiche e, vista la targa tricolore, chiedeva aiuto ai connazionali. Era Marco Pannella, e tra lui e Libero si creò subito una grande intesa. Discutevano spesso su un punto: i politici, per poter davvero fare politica, non dovrebbero partecipare a più di due legislature, perché sennò perdono il contatto con la realtà di tutti i giorni. E Marco è venuto spesso a casa nostra insieme ai suoi amici». Quando viene assassinato Libero Grassi, Pina prende la tessera del Partito radicale, ma poi sono i Verdi a rappresentare meglio la sua sensibilità in quel momento.

 

Non aveva programmato nella sua vita di diventare uno degli emblemi della lotta alla mafia. E lo stesso si potrebbe dire delle tante donne che Cosa Nostra ha spinto in prima linea dopo avergli fatto gustare il fiele del sangue innocente. Felicia Impastato, madre del giornalista Peppino, Agnese Borsellino, moglie di Paolo; Rita Borsellino, la sorella; Maria Falcone, sorella di Giovanni. E con loro tante altre, magari meno note. La storia le ha chiamate alla ribalta senza dargli scelta. Così per Pina. Quando una giovane studente, in uno degli incontri nelle scuole a cui raramente si sottraeva le ha chiesto le ragioni del suo impegno ha risposto: «Mio marito Libero Grassi diceva sempre che il suo non era un nome, ma un aggettivo e quindi se uno si portava dietro un aggettivo così non poteva certo essere un succube. E quindi non potevamo fare qualcosa di diverso che opporci alle richieste di Cosa Nostra per salvaguardare la dignità e la liberta del nostro lavoro. Libero è il logo della nostra famiglia. La mia è la teoria delle tre L: libertà, legalità, lavoro. Come la vivo adesso che ho 80 anni? Avendo in mano il libretto del consumo critico ideato dai ragazzi di Addio pizzo dove sono inseriti i nomi dei commercianti che denunciano. Sotto casa mia c’è un supermercato, ma ho scoperto che un po’ più lontano c’è quello di una cooperativa che non paga i mafiosi. Io vado lì, anche se è faticoso, perché non voglio pagare i mafiosi e voglio invece incontrare gente che ha fatto una scelta di libertà. Dai sorrisi tra gli scaffali capisco che almeno il 50% dei clienti è felice di essere un cittadino consapevole».

 

Quando legata ad Addio pizzo era nata l’associazione degli imprenditori Libero Futuro, Pina ne era diventata la presidente onoraria: oggi sono 1004 gli operatori economici associati. E sul sito così la ricordano: «Hai segnato per noi una strada che ancora oggi proviamo a percorrere seguendo i passi tuoi e di Libero. Passi lievi, garbati e al tempo stesso determinati e forti. Non sempre siamo stati all’altezza della tua sagacia, della tua intelligenza e ironia, della tua generosità e della tua grande capacità di amare, ma siamo stati onorati di camminare insieme, accompagnati dal tuo esempio d’amore, sapiente e generoso, che trasformava ciò che fa star male, che provoca dolore e rabbia in capacità di essere qualcosa di diverso dalla violenza in cui siamo cresciuti».

 

La notizia della sua morte mi ha raggiunta a Minneapolis all’apertura di un convegno di imprenditori ed economisti che in nome di un modello economico profetico come quello dell’Economia di comunione ideato da Chiara Lubich, stanno ampliando le radici di un agire imprenditoriale capace di investire su chi è ultimo, scartato e di condividere proprio con loro una nuova modalità di creare lavoro e fare impresa. Non so se chiamarla coincidenza, ma Pina e Libero non sono rimasti soli.

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