L’Egitto contesta il governo Morsi

Alla vigilia dell'anniversario delle prime elezioni libere, il Paese vive nella tensione: si raccolgono firme per nuove consultazioni elettorali, la crisi economica è inarrestabile e tragica, l’esercito prova a garantire una parvenza di pace fra le diverse fazioni, mentre il presidente non riesce a convincere la gente
Il presidente egiziano Mohammed Morsi

Qualche giorno fa, di passaggio da Roma, un’amica copto-ortodossa che abita a Suhag, nell’alto Egitto, mi raccontava che si era ormai arrivati ai quindici milioni di firme anti-Morsi. Nei giorni successivi anche i media occidentali hanno confermato la notizia che in Egitto sapevano tutti. La campagna contro il presidente a un anno esatto dalla sua elezione sembra aver avuto successo.

Lanciata a metà maggio, l’iniziativa ha via via preso quota, raccogliendo simpatia e consensi popolari e coinvolgendo i giovani, veri protagonisti del movimento per la raccolta delle firme. Si è trattato di un’azione a tappeto, con persone che passavano porta a porta per sensibilizzare la gente sulla situazione reale del Paese e la necessità di un cambiamento di rotta. Per assicurare la validità legale dell’operazione e scongiurare la possibilità di accuse di manipolazione dell’opinione pubblica, i giovani hanno anche chiesto all'Onu di fare da garante imparziale, per verificare l'autenticità del materiale. Chiunque avesse firmato doveva esibire un documento di identità e riportarne gli estremi accanto alla firma, insieme all’impronta digitale. Si intende arrivare ad una petizione di sfiducia che, se venisse accettata dalla Corte suprema, porterebbe a possibili nuove elezioni.

Il gruppo dei cosiddetti "Ribelli", guidato da Mahmoud Badr, co-fondatore dell'iniziativa, ha ora lanciato la "Rebels Week", una settimana di manifestazioni contro il governo dei Fratelli musulmani che si concluderà il 30 giugno. A fronte di questo, la mossa dei sostenitori del presidente è stata quella di una contro-campagna che intende rispondere con una raccolta di firme a favore di Morsi. Affermano di averne raccolte dieci milioni. Si prospettano sit-in che vorrebbero essere pacifici. Tuttavia, la tensione sta salendo e l’esercito è, ora, sceso in strada per monitorare la situazione sociale nei giorni caldi che precedono l’anniversario dell’elezione.

Il numero dei firmatari è enorme se si considera che Morsi era stato eletto, lo scorso anno, con circa 13,2 milioni di consensi. L’Egitto, come spesso abbiamo avuto modo di ricordare, ha vissuto dodici mesi drammatici con il pericolo di una crescente islamizzazione, con un degrado sociale e civile, legato allo sciopero della magistratura e alla scomparsa, di fatto, dalle strade della polizia. A questo si è aggiunta una recessione economica con disoccupazione giovanile altissima. Il turismo stesso sta soffrendo, come è ovvio, della precarietà generale, togliendo preziosi introiti dalle casse del Paese.

La presenza dell’esercito per le strade è ora segno che il governo teme una escalation. Ci sono già stati tafferugli e scontri e si teme uno scontro frontale fra le due fazioni. 

Intanto, il 23 giugno alcuni musulmani sciiti sono stati linciati a Giza e si teme che il confronto fra l’islam sunnita e quello sciita, che è in atto in vari punti del mondo musulmano, possa contagiare anche l’Egitto. Ad Abu Mussalam erano circa tremila, dichiara l’agenzia AsiaNews, i musulmani sunniti che hanno attaccato una ventina di sciiti. Si tratta di un fatto nuovo in Egitto, un Paese dove la tensione fra i due gruppi non era fino ad oggi arrivata.Di fatto, nella confusa e tesa situazione degli ultimi tempi i radicali vorrebbero che sia i cristiani che i musulmani sciiti lasciassero il Paese.

È in questo contesto che ieri sera il presidente Morsi si è rivolto al Paese, parlando in una grande sala gremita e con un gruppo evidentemente invitato per applaudire in punti chiave del suo intervento. Si è trattato, ci scrivono dal Cairo persone del posto che lo hanno seguito in diretta, di un intervento di chiaro taglio populista e con punte di estremismo, ma con evidenti incoerenze e con espressioni popolari e dialettali, che si inserivano su un testo evidentemente preparato da un’altra mano. Anche il protocollo tradiva delle novità significative: i ministri e altre autorità, tutti in prima fila sono rimasti immobili nel corso dell’intervento e si è notata l’assenza del patriarca copto-ortodosso, che non era stato invitato in questa occasione.

Nel corso del suo intervento il presidente si è dilungato sui meriti del proprio operato e di quello del suo esecutivo, citando cifre prive di una possibilità di verifica e, soprattutto, difficili da coniugare con una realtà quotidiana in cui scarseggiano elettricità, benzina e diesel e dove la situazione economica è sempre più disastrosa. C’è stata l’ammissione di aver commesso degli errori come pure l’allusione alla divisione che si è progressivamente creata all’interno della nazione. Tutti questi nodi sono stati definiti aspetti normali in una gestione democratica.

La conclusione è stata rivolta a diversi gruppi degli egiziani. Per i giovani ha proposto la formazione di una commissione che permetta una loro partecipazione attiva alla vita politica. Ma ciò che più preoccupa è il monito lanciato da Morsi a tutti, in generale; si tratta di un chiaro avvertimento: il carcere è il posto per coloro che non sono soddisfatti o che si ribellano.

Il discorso, due ore e mezzo di retorica, è stato deludente per gli egiziani. Sembra ignorare completamente le vere esigenze della gente. Sono molti, come ha dimostrato la raccolta delle firme di cui abbiamo parlato, a voler l’uscita di scena di Morsi, che pare essere sempre più espressione del dominio del Fratelli musulmani e della loro tendenza alla islamizzazione progressiva ed inarrestabile. Una cosa è certa, come ci scrivono dal Cairo: in Egitto si aspettano giorni movimentati.

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