La storia accorciata

La Grande Pandemia ha avuto gli stessi effetti della Grande Guerra: ha diviso la storia in due parti, prima e dopo l’evento. Vantaggio: si può ripartire con più lena verso nuovi orizzonti. Svantaggio: si rischia di perdere la memoria.
storia

Costatando l’attuale crescita economica insolita per l’economia italiana, al di sopra di quella di tutte le altre economie europee, mi sono sorte alcune domande sui motivi di tale virtuosità del nostro Sistema Paese. Sarà che noi italiani sappiamo adattarci meglio alle difficoltà generalizzate? Oppure la questione è puramente numerica, dovuta al “doping” del Recovery fund? O, ancora, un’economia come la nostra era scesa così in basso da dover per forza di cosa ripartire più velocemente? Effetto Draghi? Non mi reputo un tecnico di econometria, quindi non ho potuto rispondere compiutamente alla domanda, né verificare le risposte che mi ero via via date. Ma ho trovato una risposta su un piano più storico e filosofico, con risvolti psicologici e antropologici: stiamo crescendo così fortemente perché la storia, la Grande Storia è stata divisa in due. Lo sottolineava già Giovanni Boccaccio, e poi anche Alessandro Manzoni, e pure Elias Canetti e altri esperti di letteratura della catastrofe: quando accade una sciagura che ha livelli collettivi universali, quando le certezze cadono a pezzi dinanzi a un lutto comune a tutti, quando le lacrime finiscono e ci si ritrova costretti a far qualcosa, ecco che la Grande Storia riparte come se vi fosse un prima e dopo la sciagura, la Grande Guerra o la Grande Pandemia.

Nella nostra Piccola Storia personale, ci ritroviamo con nuovi punti di riferimento storici: il primo confinamento, il secondo, il terzo… Mentre nella Grande Storia collettiva rimangono le immagini delle bare trasportate da camion militari a Bergamo, o le prime serate sui balconi a dire che ce l’avremmo fatta. In ogni caso, ed è un riferimento collettivo, possiamo oggi dire con orgoglio: «Io c’ero». Ora che le cose sembrano andare un po’ meglio, ci lasciamo andare: «È la prima volta che incontro Mariuccia dopo il Covid!», e le nostre conversazioni vengono occupate al 90% dai racconti sul confinamento, o al massimo dalle sensazioni inebrianti di uscita dal lockdown. «E poi, ti ricordi, il concerto di Baglioni pochi giorni prima dell’ordine di restare tappati in casa?». E la spesa a domicilio, prima del coronavirus manco ce la sognavamo.

Una tale, involontaria divisione della storia del mondo prima e dopo “l’evento” ha certamente dei vantaggi non di poco conto, il primo dei quali è quello di poter ricominciare avendo “amnistiato” il passato: non si nega a nessuno la possibilità della ripartenza, dimentichi dei precedenti. Parto da zero, tutti partiamo da zero, con più energia e voglia di fare. Ovviamente, il corrispondente svantaggio è quello di aver passato nel dimenticatoio troppe cose. Il capitale di successi e sconfitte che ci hanno costruito come persone sembra essersi evaporato. Abbiamo dimenticato – e torniamo al “macro” dopo aver parlato del “micro” – il “secolo pur breve”, che sarà ricordato come quello delle grandi ideologie idealiste, e non capiamo quando anche ora possono emergerne delle nuove, di ideologie, magari più modeste, ma pur sempre perniciose. Pensiamo ai talebani, che in nome di un Dio che ha molto poco di fondamenti scritturistici, decide chi è buono e chi è cattivo; anzi, a decidere non è Dio mai i suoi sacerdoti… Oppure c’è l’ideologia ecologista, in grande crescita dopo la pandemia, che vorrebbe semplicemente un ritorno al naturale sine glossa: così, per salvare un albero dalla distruzione di chi vorrebbe tracciare una strada, si impedisce di “disingorgare” o “disingolfare” interi quartieri, condannandoli a un inquinamento ben maggiore di prima. O, ancora, che dire del pericolo ideologico di base, tipo gilet jaune? I complottismi impazzano, la diffidenza (che pur ha delle ragioni) verso i potenti si trincera dietro qualsiasi occasione pur di opporsi al governo, alla classe dirigente, ai potenti che ci sfruttano: che sia la fiscalità, il traffico o i vaccini, in fondo son tutti pretesti.

E, invece, abbiamo delle potenzialità immense davanti, né ideologiche né nostalgiche: abbiamo la possibilità di ritrovarci più vicini ai nostri simili dall’aver sperimentato di essere tutti sulla stessa barca, interdipendenti, e con la possibilità di inventarci di nuovo una vita, senza che qualcuno ci dica che la via scelta è zeppa di tranelli e trabocchetti. Abbiamo riacquistato la possibilità di sbagliare. E ricominciare.

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons