La Sicilia taglia i suoi deputati

Passeranno da 90 a 70 i rappresentanti all’Assemblea regionale. La Commissione affari costituzionali del Senato dice sì al disegno di legge Barbagallo. Un risparmio notevole sui costi della politica
Palermo

Unanime è stata l’approvazione della Commissione affari istituzionali del Senato sul disegno di legge regionale che prevede la riduzione dei parlamentari siciliani da 90 a 70. Ora, entro Pasqua, la decisione definitiva spetterà alle due Camere.
 
Ci sono voluti quattro anni di lavoro per Giovanni Barbagallo, consigliere regionale eletto nel Pd, per ottenere il voto positivo dell’Assemblea regionale siciliana sulla proposta di legge che mette a rischio il futuro politico di ben 20 colleghi, e non è detto che non riguardi la sua stessa persona. Convincenti sono state le cifre sui risparmi: sette milioni per ogni anno e 35 milioni per l’intera legislatura. E in una regione che non brilla per agiatezza non sono briciole.
 
Anche il parallelismo con altre regioni italiane è stato un incentivo non da poco: la Sicilia ha il numero di deputati più alto in termini assoluti. Seconda è la Lombardia con 80. L’Emilia, con la stessa estensione di territorio, ne conta appena 50. Se guardiamo poi la relazione tra popolazione ed eletti la sproporzione diventa evidente: un deputato ogni circa 55 mila persone per l’isola, con uno stipendio di 9.465 euro netti al mese, mentre in Lombardia il rapporto è di uno a 118 mila, in Emilia uno ogni 64 mila, con uno stipendio di 5.600 euro.
 
«Abbiamo vinto perché il clima è cambiato e tutti sono consapevoli che non si può andare avanti senza ridurre i costi della politica e senza una semplificazione istituzionale», ha commentato l’onorevole Barbagallo dopo il sì della commissione. Certo, l’iter della sua proposta non è stato semplice: si è scontrato con lo scetticismo dei deputati, con l’assenza di un pensiero comune sul bene e sullo sviluppo dell’istituzione regionale, ma ora la sua soddisfazione è palese.
 
L’ha sorpresa l’unanimità con cui è stata accolta la sua proposta?
 
«Non mi ha sorpreso perché il testo è stato concordato con i capigruppo dei partiti e riguarda anche altre regioni che avevano fatto proposte simili: la Sardegna, ad esempio, passerà da 80 a 60 consiglieri e il Friuli scenderà a 48. Poiché la linea politica è stata condivisa, il testo è blindato e non ci saranno emendamenti. Verrà approvato come proposto dalle rispettive regioni. C’è unanimità nel voler ridurre i consiglieri delle regioni a statuto speciale, ad eccezione di Trentino e Val d’Aosta, perché lì subentrano le province autonome».
 
Altre battaglie in programma?
 
«Ridurre le indennità aggiuntive delle componenti degli uffici elettivi. Lo stipendio di un consigliere regionale si aggira sui diecimila euro, ma i segretari e il presidente di una commissione arriva a 3.300. Mentre l'indennità aggiutiva del presidente della regione e dell'assemblea regionale è di settemila euro. Finora è stata accolta solo la riduzione del 10 per cento. Poi ci sono i consulenti esterni, 250-300 a fronte di quasi venti mila dipendenti, oltre ad un numero indifinibile di precari: questo è contro la legge. Non si giustificano. Poi ci sono gli enti inutili come l’Esa (Ente di sviluppo agricolo) che impiega 500 trattoristi per cinque mezzi. Sto lavorando alla loro abolizione».
 
Scelte decisamente impopolari le sue. Non teme ritorsioni?
 
«Guardiamo ai fatti. La Sicilia ha l’indice di povertà più alto in Italia, con un tasso del 30 per cento. La situazione sociale è esplosiva. La classe dirigente deve dare l’esempio, altrimenti non è più credibile. Chi non sa riformare sé stesso non riforma nessuno. I cittadini hanno bisogno di modelli virtuosi. Se la crisi non spinge chi governa a essere consapevole dei sacrifici che chiede agli altri e non li fa per sé, ha smarrito il senso della politica. Oggi la vera antipolitica è rappresentata dal clientelismo. La logica dello scambio serve a gestire i bisogni immediati senza una visione del futuro, senza un progetto di sviluppo. Questa cultura dei favori è il vero freno per la crescita dell’economia, sta deteriorando il costume e corrompe i cittadini, che per far valere un diritto vanno dal politico. Non può più funzionare».
 
È la logica mafiosa che permea le istituzioni in territori di disagio…
 
«La mafia attecchisce anche nelle regioni dove c’è benessere, basta vedere cosa succede a Reggio Emilia e a Milano. Certo in Sicilia, a volte, si ha l’impressione che ci sia la volontà di tenere una regione nel sottosviluppo per potersi garantire i voti delle clientele e gestire i bisogni in modo poco limpido. Il benessere manderebbe a casa questa classe dirigente. Oggi si affida alla riforma della legge elettorale un rinnovamento della politica. Concordo con questa scelta ma non basta. Nella nostra regione vige il proporzionale con uno sbarramento al 5 per cento e con collegi equivalenti alle province, eppure la classe dirigente non funziona. Non è quindi solo un problema di ingegneria costituzionale, ma di motivazioni etiche e ideali».
 
Legge qualche novità almeno nella società civile?
 
«Fermenti positivi vengono dai giovani che vivono ancora per ideali veri di giustizia e di uguaglianza e hanno una grande tensione etica. Poi ci sono gli input delle imprese sane, che hanno avuto il coraggio di denunciare il racket. Anche nei partiti mi sembra di scorgere qualche movimento perché, nonostante la loro gradevolezza sia ai minimi storici, (4 per cento) sono essenziali per la democrazia, quindi devono rinnovarsi dall’interno e percepisco elementi di risveglio».
 
Lei ha alle spalle quattro mandati, con questa richiesta di ringiovanimento sta annunciando la fine del suo percorso?
 
«È giusto che altri si affaccino alla politica, è bene che si cambi generazione, forse anche io devo intraprendere altri percorsi, magari oltre la prospettiva regionale e fuori dalle istituzioni, ad esempio in campo formativo. La politica a vita non funziona. La regola dei due mandati che vale solo per i sindaci, andrebbe estesa anche alle altre cariche elettive. Chi fa sette-otto mandati, a mio parere, vede più uno status symbol e quindi sarebbe bene cambiare».
 

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