La piazza riprende il potere

Esercito, polizia e popolo tentano di non farsi sopraffare dai continui attentati e dalle manifestazioni dei Fratelli musulmani. I loro dirigenti rischiano di essere accusati di tradimento mentre la gente, al posto della sharia, chiede un Paese libero e di convivenza pacifica tra religioni e fedi
Cairo. Un uomo si ripara dietro sacchi di sabbia vicino all'università

La situazione in Egitto continua ad essere molto fluida e tutt’altro che avviata ad una soluzione duratura. D’altra parte, come osservatori occidentali dobbiamo accettare il fatto che si tratta di processi lunghi e non si possono pretendere tempi che non sono compatibili con essi.

Nei giorni scorsi abbiamo ricevuto alcune impressioni da persone che vivono sul posto e sono osservatori diretti di quanto sta accadentdo. Non si fatica a vedere, infatti, notevoli discrepanze anche con quanti i nostri media propongono sul Paese del Nord-Africa. A commento degli ultimi, convulsi, sviluppi a partire dal 30 giugno, scrivono:

«Qui abbiamo vissuto giorni più che storici, mai potevamo immaginare che la popolazione, un Paese intero, finora totalmente apolitico potesse scendere nelle strade ed invadere letteralmente le piazze per dire “no” a un presidente e a un governo. Ci pare sia un fatto culturale e non solo religioso o economico o semplicemente politico. Purtroppo l’opinione pubblica occidentale ragiona secondo parametri pseudo-democratici per queste realtà, perchè non applicabili a un Paese appena uscito da millenni di occupazioni e decenni di dittatura.Ciò che impressionava era la fede in Dio di un popolo di musulmani e cristiani unito nei valori della loro patria».

Non ci si nasconde di essere ora passati nuovamente ad una fase delicata. Infatti, «dirigenti e appartenenti ai Fratelli musulmani – ci dicevano già due giorni fa – si sono dimostrati tutt’altro che democratici, portando un’onda di violenza in tutto il Paese. La maggior parte della popolazione appare soddisfatta del loro allontanamento dal potere».

La speranza è che le diverse parti, soprattutto, i sostenitori del deposto presidente Morsi comincino a ragionare accettando, prima di tutto, la nuova situazione.

«Da mesi era chiaro che si trattava solo di una questione di tempo. L’esercito sarebbe dovuto intervenire. L’unica soluzione era, ormai, la destituzione. Qui si sa che la giustizia sta indagando su vari membri e dirigenti del partito al potere. Contrariamente a quanto si vorrebbe far credere, non si tratta di una persecuzione politica, ma di procedimenti semplicemente giudiziari. D’altra parte il governo attuale, composto da ministri molto competenti, sta andando avanti a ritmi sostenuti. Per esempio, è già stata nominata una commissione di 50 esperti che sta lavorando sulla Costituzione. L’impressione generale è che, nonostante l’incertezza contingente, nel Paese si stia creando un clima di fiducia. Alcuni indici importanti sembrano confermarlo: la borsa si è subito ripresa, i grossi investitori stanno tornando, più di 10 miliardi di dollari sotto forma di prestiti senza interessi o in prodotti (gas e altri derivati petroliferi) sono arrivati dagli Emirati, dall’Arabia Saudita, per aiutare la banca centrale a seguito della perdita delle riserve monetarie».

Il grande pericolo attuale è la possibilità di una radicalizzazione degli islamisti che si sono dimostrati pessimi perdenti. «E’ necessario attendere per vedere cosa succederà nelle due prossimi venerdì. Probabilmente, le forze di sicurezza non potranno aspettare tollerare a lungo le continue interruzioni del traffico in varie parti del Paese e, soprattutto, del Cairo perché le manifestazioni oltre che procurare disagi sono spesso accompagnate da atti di violenza».

La giornata di mercoledì ha segnato sviluppi importanti, perché «in mattinata il Sisi, il ministro della difesa e vice-premier, in occasione di una parata militare ha dichiarato la necessità che il popolo mostri il suo appoggio al governo attuale per fare fronte alla violenza e al terrorismo. L’intervento, trasmesso sulle reti nazionali, è stato accolto molto seriamente dall’opinione pubblica. I Fratelli musulmani calati nel ruolo di vittime stanno bloccando strade e provocando scontri violenti. Nelle ultime tre settimane, a parte gli attacchi a stazioni di polizia, ci sono state molte vittime tra civili e soprattutto poliziotti e soldati nella zona del Sinai del nord.

«E’ evidente – sottolineano i nostri osservatori – che Sisi cerca l’appoggio del popolo soprattutto davanti all’opinione pubblica mondiale. Infatti, a livello internazionale molti vedono nella seconda rivoluzione di fine giugno un semplice colpo di stato militare. In realtà, non si tratta di questo. Non bisogna dimenticare che trenta milioni di egiziani hanno manifestato a fine giugno. Parecchi milioni hanno continuato, poi, ininterrottamente fino al 4 luglio, esprimendo in modo evidente quale fosse la volontà popolare. Era chiaro per tutti, qui in Egitto, che solo l’esercito poteva realizzare la volontà del popolo, evitando il pericolo, ormai imminente di un collasso del paese e una dittatura islamica, che man mano privava gli egiziani dei loro diritti».

Ci fanno, infine, notare, come abbiamo già avuto modo di sottolineare che molte testate internazionali e canali televisivi importanti attingono le informazione da Al Jazeera, che fin dal tempo della rivoluzione ha sposato la causa dei fratelli musulmani. Vengono presentate come di massa manifestazioni che in realtà sono piccole, si propone un’immagine della fratellanza musulmana come di manifestanti pacifici. E’ senza dubbio vero per il 90 per cento. Ma resta altrettanto vero che la violenza parte dal rimanente dieci per cento delle loro fila.

«Giovedì ci si sono stati nuovi mandati di arresto contro Badie, guida dei Fratelli e di altri otto dirigenti per istigazione alla violenza. Sono persone che si nascondano a piazza Rabea Al-Adawiya, nei pressi del mausoleo di Sadat a Nasser City dove hanno organizzato un sit-in da tre settimane. Altri dirigenti sono in stato di arresto con accuse pesanti e Morsi è ancora tenuto in un posto segreto. La sua vita e’ realmente in pericolo e rischia di essere giudicato per tradimento del paese. Certo i prossimi giorni saranno cruciali per l’Egitto. Speriamo che non ci si lasci trascinare verso un periodo di attentati e violenze. Per adesso il popolo, l’esercito e la polizia sono uniti e vogliono uno stato moderno, civile, non religioso con uguali diritti per tutti. A fronte, resta una parte della popolazione (forse il 15 o 20 per cento tra fratelli musulmani, salafisti e wahabiti) che giudicava i partiti religiosi in grado di procurare più giustizia sociale e di fare dell’Egitto un paese dove si applica la sharia. Ne sono ancora fermamente convinti e si sentono privati di quel potere a cui aspiravano da tempo e al quale erano finalmente riusciti ad arrivare».

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