La matematica dell’uguaglianza

Cresce il divario tra ricchi e poveri. L’1% della popolazione detiene il 46% della ricchezza. Alcuni criteri per entrare nella scatola nera dell’economia
Diseguaglianze economiche (AP Photo/Ahn Young-joon)

Da qualche anno nel dibattito pubblico si parla molto di disuguaglianza. E non c’è da sorprendersi dato che il divario fra ricchi e poveri, nel mondo, è cresciuto di quasi il 70% nel corso degli ultimi quarant’anni.

Per capire il fenomeno e poter lavorare efficacemente sulle sue cause dobbiamo attingere alla storia della sua misurazione, tema affrontato in modo brillante dal noto matematico italiano Piegiorgio Oddifreddi, che nel suo “Pillole matematiche. I numeri tra umanesimo e scienza” dedica un capitolo apposito.

È da Wilfredo Pareto che si inizia a studiare scientificamente il fenomeno. A fine ‘800 egli postula la legge 20/80 partendo dall’osservazione sul rapporto fra popolazione e proprietà terriera. Infatti a quel tempo il 20% della popolazione deteneva l’80% dei terreni.

Nel 1905 Max Lorenz, economista americano pubblica un saggio dal titolo “Metodi per misurare la concentrazione della ricchezza”. In quel lavoro formalizza il metodo delle curve di Lorenz. Queste curve vengono rappresentate in un tipico asse cartesiano. L’asse orizzontale descrive la percentuale di popolazione (ad es. 1%) mentre l’asse verticale  la percentuale di ricchezza o reddito, a secondo di ciò che si vuole misurare (ad es. 46%). Siamo così in grado di esprimere i valori attuali di disuguaglianza nel mondo. L’1% della popolazione detiene il 46% della ricchezza.

Ma c’è un indicatore ancora più sintetico per descrivere efficacemente il livello di disuguaglianza, calcolabile per le popolazioni di qualsiasi area geografica. Si tratta del coefficiente di Gini, elaborato dallo statistico italiano Corrado Gini e pubblicato nel suo articolo del 1912 “Variabilità e mutabilità”. Partendo dalle curve di Lorenz e calcolando le aree relative A e B, attraverso un rapporto A/(A+B) si giunge ad un indice che varia fra 0 e 1, riportabile su base 100, e quindi facilmente comprensibile. Quando il valore è 0 si ha perfetta uguaglianza, quando il valore raggiunge 100 si ha invece la massima disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza.

Il coefficiente di Gini è il perfetto complemento informativo del PIL complessivo e del PIL pro-capite – che è una media puramente statistica di un paese/territorio. Infatti il PIL totale computa l’intera ricchezza prodotta in un certo periodo di tempo, mentre il coefficiente di Gini ci racconta come è distribuita effettivamente fra la popolazione.

Come mostra la geografia attuale possiamo avere Paesi ricchi a livello di PIL ma con tanti poveri (pensiamo al Brasile).

La disuguaglianza ha poi rilevanti effetti sulla crescita economica. È intuitivo, ma diversi studi lo confermano, che un paese troppo diseguale non fornisce abbastanza reddito ad alcuni strati della popolazione e di conseguenza consumando meno si rallenta il passo dell’economia.

Una rassegna sintetica degli studi sulla disuguaglianza si trova nel sito della Treccani.

Invitiamo il lettore a curiosare nella rete per verificare in prima persona i valori del coefficiente di Gini nello spazio e nel tempo.

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