La “Lucha” dei giovani congolesi

Un movimento giovanile si sta facendo strada tra i problemi e le difficoltà sociali del Paese, sfidando il carcere e le minacce, per ottenere pacificamente maggiori diritti per tutti e spingere le istituzioni a impegnarsi realmente per il bene del Paese
Sit-in dei giovani di Lucha a Goma

Siamo a Goma, nella provincia del Kivu Nord, nell'area orientale della Repubblica democratica del Congo, nell'Africa centrale. Qui è cresciuta Cécile (il nome è di fantasia per tutelarne la sicurezza), in una famiglia cristiana, senza paura di andare controcorrente. «La vita – racconta – mi piaceva in tutte le sue espressioni. Quando sono entrata all'università ho incontrato un altro mondo. Ho visto intellettuali arrivare ad ammazzarsi a causa delle differenze tribali ed etniche, altre persone mentire senza nessuna vergogna, ragazzi e ragazze applaudire comportamenti contrari alla morale. Mi sono impegnata con alcune associazioni di giovani che lavorano per rifondare lo Stato sul rispetto della Iegge. Abbiamo organizzato conferenze, seminari di formazione, ma il cambiamento non si intravedeva.

«Quando ho preso il diploma, ho trovato subito Iavoro in un'organizzazione non governativa (Ong) che Iavora per i diritti delle donne congolesi e in particolare per quante hanno subito violenze sessuali, schiavizzate fin nella Ioro coscienza».

Cécile comincia a girare per il Paese, scoprendo la grande miseria in cui sono costrette a vivere tante persone, ma anche cogliendo il potenziale straordinario di bellezza e di risorse naturali di cui è ricco il Congo, sempre più colpita dalla disperazione sociale che la circonda, tanto da non riuscire a vedere vie di uscita.

«Verso l'inizio del 2012 – ricorda – qualcosa si è acceso di nuovo dentro di me, volevo che Ia situazione cambiasse, nonostante il clima di rassegnazione generale, di silenzio complice che ormai aveva preso dimora in tanti. La corruzione, Ie frodi, la menzogna e tanti altri mali erano il tessuto quotidiano delle nostre giornate. La corrente era talmente forte che sembrava non ci fosse più nessuno che cercava di cambiare, nemmeno tra i cristiani. Anche il linguaggio comune esprimeva questo scoraggiamento diffuso, si sentiva dire, per esempio: "Non sei tu che cambierai il Congo…", o ancora: "Questo Paese è già morto, non vale la pena occuparsene, non c'è più niente da salvare…". Ero angosciata e mi sentivo in colpa. Ma mi ripetevo che toccava a noi fare il primo passo». 

Insieme ad un gruppo di amici, Cécile comincia a riflettere sul da farsi. Qualcuno tenta di scoraggiarli, perché i rischi sono troppo alti. Qualcun altro dà il proprio appoggio, rinunciando però ad impegnarsi in prima persona. Altri, invece, la sostengono e insieme riescono a mettere nero su bianco le loro idee: 1) In Congo Ie buone teorie e gli studi non mancano, manca l'iniziativa concreta; 2) Non è solo responsabilità dei politici o di alcune persone… c'è un intero sistema di poteri forti che coinvolge politici, uomini pubblici e privati, militari, giovani e vecchi. È una società intera che dobbiamo ricostruire… 3) I giovani sono la speranza della società e ne hanno la capacità. Gli adulti hanno già visto tanti fallimenti e per questo spesso si accontentano della ricerca del pane quotidiano.

Nasce così un movimento di rivolta composto principalmente da giovani. Li chiamano i "giovani di Goma", finché, un anno dopo, decidono di chiamarsi "Lucha" ("Lutte pour le changement", cioè "Lotta per il cambiamento").

Per manifestare le proprie idee, per raggiungere i propri obiettivi, questi ragazzi, insieme a tanti altri, cominciano a manifestare per le strade, organizzando sit-in, affiggendo manifesti, distribuendo volantini. Qualcuno, come Cécile, finisce anche in prigione, ma nemmeno le sbarre di una cella riescono a fermare la forza delle loro idee.

 

Foto presa dal diario dell'account Facebook Lucha RDCOngo

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