L’11 settembre di Monaco

Dieci anni dopo New York e quarant’anni dopo l’attentato dei Giochi olimpici, la città tedesca ospita l’incontro interreligioso in ricordo di Assisi    
Incontro dei leaders religiosi a Monaco

Monaco, – ovviamente dopo New York – è il luogo più significativo per ricordare i dieci anni dell’11 settembre. Fu qui, molti non lo ricordano più e quelli che non hanno quarant’anni forse nemmeno lo sanno, che col settembre nero del 1972 ebbe inizio la stagione tragica del terrorismo. Si era durante i Giochi Olimpici, organizzati nella capitale della Baviera, e la presa in ostaggio di un gruppo di atleti israeliani da parte di terroristi palestinesi finì nel sangue. Quello che è successo nel mese di settembre di trent’anni dopo non fu che l’apice di una escalation che in pochi decenni riuscì a diventare una vera strategia di guerra: il terrorismo.

 

Un luogo simbolo, quello scelto quest’anno dalla Comunità di Sant’Egidio per il 25° incontro di Preghiera mondiale per la pace, in ricordo dell’incontro interreligioso voluto nel 1986 da Giovanni Paolo II ad Assisi. La celebrazione svoltasi sotto un sole cocente, del tutto eccezionale per il settembre bavarese, nella Marstallplatz, nel centro storico di Monaco, è stata organizzata dalla Chiesa locale e dalla Comunità. Il Presidente della Repubblica tedesca, Christian Wulff, si è unito alle varie centinaia di leaders religiosi presenti, provenienti dai cinque continenti e rappresentati la geografia mondiale delle religioni: cristiani di diverse chiese e comunità ecclesiali, ebrei, musulmani, indù e buddhisti, ma anche giainisti e zoroastriani, caratterizzati da grande varietà di abbigliamento e copricapo.

 

Toccanti i minuti di collegamento con New York, dove si stava svolgendo una celebrazione intitolata: Destinati a vivere insieme. Due testimonianze hanno riportato tutti ai momenti drammatici delle Torri Gemelle, ma con un linguaggio che parlava di impegno a guardare avanti, aperto alla speranza. Una donna che ha perso il fratello, rimasto intrappolato al piano 101 della prima torre che crollò quel giorno di settembre, ha sottolineato come «nessuno di quelli che sono morti quel giorno ha parlato di odio o di vendetta. Hanno detto di aver paura, ma soprattutto hanno lasciato nelle loro ultime parole l’amore per i figli, per le famiglie per coloro a cui si rivolgevano». L’amore, dunque, è la risposta all’11 settembre. Lo ha ripetuto anche un gruppo di ragazzi che si è unito con la fantasmagoria dei colori delle loro magliette ad un complesso che aveva scandito i momenti più solenni della funzione. Hanno cantato tutti insieme “L’inno dell’amicizia”, un invito a sognare un mondo per tutti popoli, ma, soprattutto, a realizzarlo.

 

E’ stato un momento che ha aperto alla speranza. Alcuni di loro non erano nati dieci anni fa e per loro, ma anche per i loro coetanei, le Torre Gemelle fanno parte della storia, non se le sentiranno sulla loro pelle e coscienza quando cresceranno. Dall’altra parte, stavano anziani rabbini ed imam, vescovi e cardinali, alcuni dei quali camminano a fatica. E’ il mondo che ereditiamo dal passato che va verso le nuove generazioni e che può davvero ricominciare dal monito del crollo di quelle Torri. Nel corso del pomeriggio, ci sono anche stati momenti fortemente simbolici, pur nella loro sobrietà: l’accensione di incenso su un pannello davanti ai leaders religiosi, più tardi ricoperto da rametti di ulivo da parte di rappresentanti delle diverse razze e religioni: la pace può crescere sulle rovine lasciate dall’odio.

 

E, poi, il silenzio ed i lamenti: entrambi momenti a modo loro laceranti. Il silenzio che pesava come un macigno sul cuore e sulla mente di tutti. I rintocchi di una campana lo hanno reso più solenne, quasi lancinante. Un mufti ha levato le mani al cielo ed è rimasto immobile per vari minuti. Accanto a lui un anziano rabbino ha tenuto la testa reclinata, tutto il tempo. Due modi di pregare per redimere l’umanità. Proprio un lamento musulmano, ma poteva essere anche ebraico, ha ripreso il silenzio ed ha attraversato la coscienza di tutti i preseti.

 

Insieme alla speranza lasciata dai ragazzi, mentre i leaders lasciavano la piazza, in processione, non si poteva non pensare a quelle parole di Giovanni Paolo II: «Mai più la guerra, mai più».

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