Jos, la religione non c’entra

L'arcivescovo mons. Kaigama e il prof. Mato dell'università di Abuja richiamano l'attenzione su una crisi che non ha radici religiose, ma politiche, sociali ed etniche.
jos

I tragici eventi di Jos lo scorso 17 gennaio hanno avuto grande eco sui media. Secondo gli ultimi aggiornamenti, la calma sta lentamente tornando in questa città mineraria, che un tempo conosceva anche un buon flusso di turisti. L’ultima crisi è arrivata un anno dopo una simile esplosione di violenza. Si stima che nel giro di una settimana siano state uccise oltre 300 persone, almeno 5mila siano dovute fuggire, e molte altre abbiano dovuto sospendere le loro attività lavorative. Anche l’università di Jos ha spostato gli esami a data a destinarsi per ragioni di sicurezza.

 

I racconti e le opinioni sulla causa scatenante di tanta ostilità non sono concordi. Sebbene i mezzi di comunicazione abbiano dato una matrice religiosa agli scontri, ci sono anche questioni etniche, sociali e politiche da tenere in considerazione. La popolazione nigeriana è divisa in maniera pressoché uguale tra musulmani a nord e cristiani a sud. L’arcivescovo di Jos, mons. Ignatius Ayau Kaigama, ha rivolto un appello ai media perché facciano informazione in modo «coscienzioso e prudente», non fermandosi alla violenza ma facendo luce anche sulle cause che ne stanno alla base. Ha affermato che gli scontri non hanno tanto una causa religiosa, quanto sociale, politica ed etnica. Mons. Kagama ha inoltre chiesto al governo della Nigeria di garantire maggiore sicurezza sociale alla popolazione: molti giovani non vedono un futuro davanti a sé e si danno alla violenza, spesso sfruttata da leader politici o religiosi.

 

Con toni simili si è espresso il prof. Kabiru Mato, dell’università di Abuja: «I fatti di Jos sono soltanto l’espressione di un problema economico molto serio e dello sfaldamento della legge e dell’ordine pubblico». Il prof. Mato ha affermato che spesso, nel mezzo delle crisi economiche, la gente perde di vista la questione reale per sfruttare le differenze più visibili tra i vari gruppi, ossia quelle religiose nel caso di Jos: «Ma io non ci vedo nulla di legato alla religione. Se questa diventa un fattore di divisione, è soltanto a causa dell’alienazione economica, dell’apatia sociale, della frustrazione politica e della povertà».

 

Come uscire da questa spirale di violenza? Molte voci si sono levate dalla società civile, i cui rappesentanti hanno chiesto al governo azioni concrete per mettere fine alle politiche discriminatorie che, condannando alcuni gruppi ad essere “cittadini di serie B”, sono alla radice di molti conflitti interni alle comunità.

 

Mons. Kaigama ha sottolineato l’importanza di un dialogo costante: «La Chiesa deve continuare a cercare il dialogo con l’Islam, perché è un’alternativa al conflitto». Tra le priorità indicate dall’arcivescovoc’è la costruzione della pace sociale soprattutto tra i giovani, tramite iniziative e progetti che coinvolgano sia i cristiani che i musulmani.

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons