Immigrazione. Majorino: nessuna invasione, serve superare la Bossi-Fini

L’immigrazione è uno dei temi politici più scottanti e divisivi, una delle ferite del nostro tempo che l’Italia vive sulla propria pelle. Il Movimento Politico per l’Unità e Umanità Nuova, espressioni del Movimento dei Focolari, hanno costituito un gruppo di lavoro sul tema ed organizzato alcuni webinar con esperti, riascoltabili sul canale Youtube di Mppu Italia. Adesso il lavoro prosegue, in collaborazione con Città Nuova, con un momento di ascolto della politica, grazie ad interviste a esponenti di maggioranza ed opposizione, cui seguirà una fase propositiva.
Manifestazione in Piazza del Popolo indetta dal Partito Democratico. (Foto Mauro Scrobogna/LaPresse)
Manifestazione in Piazza del Popolo indetta dal Partito Democratico. (Foto Mauro Scrobogna/LaPresse)

L’on. Pierfrancesco Majorino, milanese, è il capogruppo del Partito Democratico nel Consiglio regionale lombardo ed è responsabile immigrazione per la segreteria nazionale del PD. È stato vicepresidente della Commissione DEVE – Sviluppo e Cooperazione- del Parlamento europeo.

Pierfrancesco Majorino, responsabile immigrazione per la segreteria nazionale del PD.
Pierfrancesco Majorino, responsabile immigrazione per la segreteria nazionale del PD.

Onorevole Majorino, vi accusano di volere una immigrazione incontrollata, senza limiti e regole, lei cosa risponde?

È una grande fesseria. Totalmente strumentale, la dimostrazione di come sia stato assurdo e tossico il dibattito sull’immigrazione.

Partiamo da una premessa: il fenomeno migratorio è globale e inarrestabile, interessa oltre cento milioni di persone nel mondo e impatta tutti i paesi ad economia avanzata, l’Italia in modo peraltro meno marcato di altri. Fra i migranti possiamo distinguere due grandi gruppi: quello dei richiedenti asilo e protezione, e quello di chi si sposta per altri motivi.

Il primo tende fatalmente a crescere a causa delle guerre e della crisi climatica. Norme internazionali superiori e la nostra stessa Costituzione, art.10, ci vincolano a garantire il diritto d’asilo a queste persone. Aggiungo: per fortuna. A guardare i numeri la cosa non riguarda certo solo noi. Nel 2022, in Italia le domande d’asilo sono state circa 80.000, contro le 140.000 della Francia e le 220.000 della Germania.

Al secondo gruppo invece appartengono prevalentemente coloro che si ricongiungono con propri familiari già regolarmente presenti nel nostro territorio (circa 60.000 nel 2022) e coloro che sono attratti da opportunità di guadagno, spesso su segnalazione di comunità di connazionali radicate in Italia e comunque tante volte perché nel loro contesto incontrano mille difficoltà economiche.

Per queste persone, inoltre, il fattore trainante è la carenza di lavoratori del nostro sistema produttivo, come dimostra il numero di pratiche – superiore di due-tre volte al consentito – aperte dalle imprese ogniqualvolta si attivano una sanatoria o un decreto-flussi. Nel caso più recente: 240.000 pratiche contro 80.000 posti.

Va detto forte che da oltre un decennio il numero di residenti stranieri con regolare permesso di soggiorno è costante, circa 5.000.000. La cosiddetta invasione, quindi, non esiste: siamo in larga misura un paese di transito, molto in basso nella graduatoria della “attrattività di personale qualificato” (OCSE 2022).

E questo è un problema. Abbiamo infatti bisogno di attrarre, in forme assolutamente legali, immigrazione qualificata. A dirla tutta, migranti che non trovano le condizioni sperate se ne vanno altrove: è lo stesso motivo per cui decine di migliaia di ragazzi e ragazze italiani migrano ogni anno. Il dato confortante è il milione e mezzo di “nuovi italiani” cioè stranieri che, per lungo soggiorno o matrimonio acquisiscono la cittadinanza italiana, compensando in parte il grave calo demografico della popolazione italiana. A partire dagli anni 2000 sono circa un milione e mezzo.

Di fronte a numeri del genere, dunque, le polemiche dovrebbero stare a zero e dovremmo confrontarci sulla concretezza delle politiche. Quello che non accade. La destra nel mondo in questa epoca storica cerca e alimenta lo scontro proprio sull’immigrazione. Lo fa perché vuole lucrare sulla sensazione di insicurezza e sulla paura.

Come giudica l’ipotesi di accordo tra Italia ed Albania per indirizzare là una parte del flusso migratorio e come si attua dal vostro punto di vista un controllo dei flussi in arrivo?

È un accordo pericoloso. Anzi, di più: un pasticcio pericoloso. Gli arrivi via mare – per quanto importanti soprattutto nel corrente anno – sono solo una parte degli ingressi irregolari. Il grosso è costituito da coloro che entrando con visto turistico si fermano in Italia oltre i tre mesi consentiti, non hanno permesso di soggiorno ma trovano un lavoro in nero e infine si regolarizzano alla prima sanatoria. Nel tempo, questo processo anomalo ha riguardato 2.000.000 di persone.

L’anomalia sta nel nostro sistema di ingresso per motivi di lavoro – regolato dalla Bossi-Fini del 2002 – che va totalmente rivisto. Quella legge alimenta gli arrivi irregolari. In quanto all’accordo Albania-Italia, gli sviluppi più recenti lo stanno mettendo in discussione. Mi limito a considerare che la capacità di rimpatrio fin qui sviluppata dall’Italia si aggira su 3-4000 persone/anno, mentre per attuare il progetto-Albania (36.000 rimpatri/anno) va garantito lo stesso numero su base mensile. Una eventualità irrealisticao che va dimostrata per bene.

E poi pensiamo alle conseguenze materiali: molti dei migranti che finiranno in Albania scaduti i termini e non garantito il rimpatrio (cosa che accadrà per la stragrande maggioranza di loro) dovranno tornare in Italia. Sarà un confuso e costoso ping-pong.

Cosa proponete per gestire efficacemente la fase di integrazione dei cittadini di origine straniera già presenti in Italia sia in ambito scolastico col crescente fenomeno delle classi-ghetto che in ambito lavorativo con il problema del lavoro nero, del caporalato e della difficoltà di incontro tra domanda e offerta di lavoro?

Innanzitutto abbiamo bisogno di politiche nazionali ed europee che si fondino sull’estensione dei canali regolari d’accesso. Cioè si deve aumentare la possibilità offerta ai migranti di arrivare in Italia legalmente. La grande zona grigia dell’irregolarità che la Bossi-Fini e purtroppo anche le scelte europee hanno rafforzato è ciò che non serve. Poi servono a livello europeo redistribuzione obbligatoria e missioni di soccorso, e a livello nazionale un grande piano per l’integrazione e l’inclusione sociale.

Un processo simile ha bisogno di piani di medio-lungo termine e delle necessarie risorse, per garantire una serie di passaggi verso la piena cittadinanza, che nell’ordine sono: la padronanza della lingua, l’educazione civica (diritti-doveri), la formazione professionale, il lavoro regolare, l’abitazione e infine una soddisfacente vita familiare e sociale.

Questi passaggi non avvengono magicamente, vanno guidati, sia nei centri di accoglienza (CARA, CAS, ex Sprar), sia nella scuola e nella società, sia da parte delle organizzazioni datoriali, sia attraverso interventi sussidiari del privato-sociale. Purtroppo si stanno riducendo drasticamente le risorse dedicate e verranno esacerbati gli effetti già così evidenti, in particolare fra i giovani.

Serve, cioè, l’accoglienza diffusa e di qualità. Non se ne vede traccia perché chi governa oggi ha bisogno di non governare e risolvere il problema. Cambiamo invece passo. E facciamolo da quel che si vede ad esempio nelle scuole. Dati recenti del MIUR certificano che oltre il 7% degli istituti scolastici inferiori e superiori mostra seri segni di polarizzazione, data la presenza di oltre il 30% di alunni di origine straniera (in alcune scuole di Milano si arriva al 90-95%).

A ciò corrisponde un indice di abbandono scolastico del 34% per i giovani di origine straniera, contro il 12% per gli italiani. È una situazione molto seria, che richiederebbe molta attenzione da parte della politica e una seria pianificazione. Anche perché parliamo dell’evoluzione demografico-culturale della nostra società.

Se nulla facciamo, anzi se tagliamo una serie di interventi di sostegno e formazione – nell’illusione che questo penalizzi e limiti il fenomeno migratorio – favoriamo la formazione di ghetti in seno alla società, terreno ideale per il disagio sociale, lo sfruttamento, la micro-criminalità. Le grandi città corrono seriamente questo rischio. Milano ad esempio mostra da un lato una società efficiente e ordinata alla quale contribuiscono decine di migliaia di lavoratori e lavoratrici, professionisti, imprenditori con background migratorio, dall’altro sacche di povertà e di criticità destinate a crescere nel tempo se non si interviene rapidamente.

Appare poco realistico l’iter del permesso di soggiorno per motivi di lavoro attraverso i decreti-flusso e l’assunzione senza conoscere la persona: quali le cause e i rimedi? Perché non consentire un permesso temporaneo per la ricerca di lavoro?

Certamente, l’attuale normativa stabilita vent’anni fa dalla Bossi-Fini, pretenderebbe che una impresa italiana facesse un regolare contratto di assunzione a una persona residente all’estero senza mai averla incontrata. Una regola assurda, che viene in molti modi aggirata al punto che – come si diceva – due milioni di persone e altrettanti datori hanno regolarizzato la loro condizione grazie a 8 successive sanatorie. Il permesso temporaneo per motivi di lavoro, cioè per garantire un lasso di tempo entro il quale la persona possa ricercare il lavoro, è una possibile soluzione. 

I corridoi umanitari sin qui realizzati hanno avuto di fatto esiti limitati e costi a carico delle associazioni proponenti. Pensa si possa fare di più in questo senso?

I corridoi umanitari – di cui molto si parla per facilitare l’ingresso di richiedenti asilo – hanno in totale interessato circa 6.000 persone e sono stati fin qui gestiti da organizzazioni private senza carichi per lo Stato. Si può certamente ampliarne l’effetto, assegnando alle ambasciate il compito di valutare le condizioni dei singoli richiedenti asilo e rilasciare i visti. Ciò non dovrebbe essere difficile almeno per alcune situazioni estremamente gravi (Medio Oriente, Afghanistan, alcuni paesi dell’Africa). Ma si dovrebbe anche potenziare il sistema di accoglienza – concentrata o diffusa – di queste persone, una volta arrivate in Italia. Noto che nel caso dell’Ucraina ciò è avvenuto senza stravolgimenti dell’ordine pubblico. Quella è una strada su cui insistere.

È favorevole ad un superamento delle regole di Dublino e, se sì, in quale direzione? Come portare avanti il coinvolgimento dell’Unione Europea su questo tema?

Il superamento di Dublino è indispensabile. Come credo serva quella strategia a cui facevo riferimento in precedenza: nell’immediato, missione di soccorso europea perché le vite devono salvarle le istituzioni; nel medio periodo canali d’accesso legali e redistribuzione obbligatoria tra gli Stati. Ma su queste strade temo che la battaglia dovrà essere ancora lunga.

Per ultimo una domanda personale: cosa l’ha portata a scegliere l’impegno politico e quali valori ritiene oggi fondamentali, in generale e sul discorso immigrazione

Faccio politica sin da ragazzino. Ho sempre avuto ideali di giustizia che mi hanno condizionato. Poi nel tempo la politica è diventata perfino, per l’impegno, totalizzante con la responsabilità nelle istituzioni. La faccio con umiltà e cercando di non perdere di vista i miei principi.

Credo al valore della persona, al riscatto sociale, alla centralità dei diritti. E ciò mi condiziona sempre. Anche quando si affronta una tematica difficile come quella dell’immigrazione. Una tematica che magari non porta consenso se affrontata senza inseguire o generare le paure. Ma che dà molto senso a quello che si fa.

Leggi anche “Ceccardi: inorridisco per le morti in mare, ma serve legalità e vera integrazione”

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