Il santo medico di Mosca

La Russia forse presto avrà un nuovo beato: un medico tedesco, vissuto a Mosca nell’ Ottocento, che ha lasciato dietro di sé una traccia profonda, umana e professionale
Friedrich Joseph Haass

All’inizio di luglio, nella cattedrale cattolica di Mosca, alla messa presieduta dall’arcivescovo Paolo Pezzi è stato solennemente riaperto il processo di beatificazione per il dottor Friedrich Joseph Haass (1780-1853), tedesco di nascita, che ha trascorso la maggior parte della sua vita in Russia. Il processo, avviato già dieci anni fa in Germania, è stato trasferito qui dove si trova la maggior parte dei documenti e delle prove legate all’eroicità di questo medico che ha saputo avvicinarsi al cuore dell’uomo, costruendo ponti tra classi sociali, popoli e confessioni religiose. Lo testimonia la tomba (con il suo ormai famoso detto “affrettatevi a fare il bene”), meta di pellegrinaggio di cattolici ed ortodossi.

 

Ma chi è questa figura interessante e come mai si è trovata in un Paese così diverso dal suo, diventandone parte integrante? Quando il conte russo Repnin, ammalatosi a Vienna nel 1806 propone al dottor Friedrich Joseph Haass, che l’aveva curato, di accompagnarlo a Mosca, certo non può immaginare che questo fatto inciderà così profondamente non solo sulla vita del giovane medico, ma anche sulla realtà sociale russa di quell’epoca.

 

Fin dall’arrivo a Mosca, dove il suo nome cambia in Fjodor Petrovič Gaaz – segno di accoglienza e amore da parte dei russi – diviene medico prestigioso e famoso, primario dell’ospedale imperiale e consigliere di corte. Non si limita, però, a pensare soltanto alla sua promettente carriera, ma si rivolge ai bisognosi, curando senza compenso malati indigenti, visitando gli ospedali pubblici e cercando di migliorarne le condizioni precarie.

 

Con la nomina a membro del Comitato di tutela delle prigioni di Mosca, ha inizio la parte più significativa della sua opera. La situazione delle carceri russe in quel tempo è spaventosa: uomini e donne, spesso con bambini, responsabili di reati gravi o meno, di varie età e condizione di salute, vivono tutti insieme, stipati in celle senza aria né luce, umide e malsane. Ancor più grave la situazione dei futuri deportati in Siberia, condanna già allora ritenuta un viaggio senza ritorno. Nella prigione-tappa di Mosca il dottor Haass, durante un quarto di secolo, incontra e visita circa 200 mila esiliati deportati.

 

Sta lottando contro la disumanità delle leggi a lui contemporanee che riguardavano le condizioni della deportazione dei prigionieri. Riesce tra l’altro ad ottenere l’abolizione e la sostituzione delle verghe applicate alle mani dei prigionieri esiliati in Siberia, alleggerendoli con una catena più lunga e con manette imbottite. Si può solo immaginare cosa provochi, negli inverni gelidi, il metallo sulla pelle nuda dei detenuti, che spesso si trascinano dietro anche ammalati e moribondi!

 

Vende tutto ciò che ha per costruire ed ampliare ospedali, per riscattare i familiari dei deportati, in modo da impedire la separazione delle famiglie. Organizza la raccolta di fondi per il riscatto dei debitori insolventi e finanzia con denaro personale il Comitato di tutela delle prigioni, in cui ha lavorato per 25 anni. Quando nell’agosto del 1853 si ammala, il metropolita Filaret celebra per lui, anche se non era ortodosso, la divina liturgia. Al suo funerale ci sono 20 mila persone. Nel carcere di Mosca i prigionieri accendono una grande candela, acquistata con i proprio risparmi, per il loro grande protettore. Ancora oggi la sua memoria è viva. Ospedali e ricoveri portano il suo nome e la medaglia per i meriti speciali è un premio prestigioso tra i medici russi, che vogliono seguire il suo esempio.

 

Prima di essere medico Haass era un credente, convinto profondamente della missione sociale dell’amore cristiano. E non ha cambiato solo la prassi medica, ma anche l’approccio all’ammalato, introducendo nella medicina un modo nuovo di guardarlo, come persona intera, fatta di corpo e di anima. E tutto questo in un’epoca lontana da qualsiasi considerazione della dignità umana di poveri, derelitti, prigionieri, attirandosi a volte le critiche anche dei benpensanti, e lottando con una burocrazia che certo non era favorevole a novità cosi avanzate.

 

Ma questo suo modo gli procurò qualcosa di ben più importante: l’amore e la stima della gente comune che lo considerava santo. Significativi gli episodi, veri e propri “fioretti” narrati su di lui. Una sera, mentre andava a fare una visita, è stato attaccato dai ladri che volevano la sua vecchia pelliccia. «Cari ragazzi – disse il dottore – lasciatemi raggiungere il mio ammalato, poi vi darò tutto quello che volete». In quel momento i ladri lo riconobbero e caddero in ginocchia chiedendo scusa. Lo accompagnarono non solo dal malato, ma anche indietro, anzi da quel momento divennero i suoi aiutanti.

 

Veramente “il mondo poggia sui giusti”, come ebbe a dire di lui lo storico russo Aleksej Judin: «Non nascono tante persone di questo stampo, forse una volta in tutto un secolo, ma senza di loro la storia umana non va avanti».

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